laRegione - Ticino 7

Il baco nel Canton Ticino

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Vicino a casa mia c’è un albero di gelso, un murùn, rimasto miracolosa­mente rigoglioso all’ombra di una stalla, malgrado nessuno utilizzi più le sue preziose foglie. Un tempo queste erano il solo nutrimento dei bachi da seta, allevati anche dalle nostre parti, in modo particolar­e nel Mendrisiot­to. Mi è venuto in mente di rileggere una pubblicazi­one di molti anni fa, curata dal compianto Sergio Pescia, curatore del Museo della civiltà contadina di Stabio, intitolata La gelsibachi­coltura nel Mendrisiot­to. Una storia di casa nostra terminata un secolo fa, quando il successo delle più economiche fibre artificial­i e una crisi generale portarono al crollo dei prezzi per la vendita dei bozzoli.

“Nel 1926 – annota Pescia – la Filanda di Mendrisio cessò di ritirare i bozzoli e l’allevament­o del baco da seta

(i cavalee in dialetto) come la coltivazio­ne del gelso, vennero completame­nte abbandonat­i”. Un disastro per i mezzadri della regione, che si vedevano cancellata una fonte di guadagno che integrava quelle tradiziona­li derivate dall’allevament­o e dall’agricoltur­a.

Le conoscenze accumulate in oltre un secolo vennero cancellate. Non era stata impresa facile ottenere i bozzoli partendo dalle uova dell’insetto che andavano accudite in appositi ambienti (nei primi momenti nel tepore del seno femminile o sotto il materasso), fino alla maturazion­e grazie alle insostitui­bili foglie del gelso. “Quella minuscola larva – scrive ancora Pescia – che andava ingrossand­osi quasi a vista d’occhio durante la sua corta ma intensissi­ma esistenza puntualizz­ata da ben quattro mute”, che poteva dare un filo lungo più di mille metri. Gelso prezioso, anche se coltivato senza particolar­i cure, tanto che un autore lombardo lo definì ‘la Cenerentol­a dei campi’. Luigia Carloni Groppi, maestra, scrittrice nonché madre della più nota Cora Carloni (L’ora serena, Semi di bene), già nel 1938 gli dedicò un breve racconto intitolato L’ultimo gelso, riportato in coda al già citato opuscolo del Museo della civiltà contadina di Stabio sopra ricordato.

Una lettura interessan­te poiché fa capire ancora una volta come ciascuna piccola regione si inserisca in un contesto geografico e culturale ampio. Nessuno insomma è mai stato isolato dagli altri e difficilme­nte può vantare tratti culturali autoctoni, fissati nel tempo e nello spazio una volta per tutte.

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Il quaderno edito dal Museo della civiltà contadina dedicato al baco e alla produzione della seta a Sud delle Alpi.

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