La ‘bufera emotiva’ che investe il chirurgo
Chirurgo
A chi gli chiedeva del suo rapporto con il dolore, il prof. Luigi Rainero Fassati ripeteva che 30 anni di camera operatoria e migliaia di interventi di ogni genere dovrebbero mettere al riparo da tempeste emotive, ma non è così. Fassati, prossimo agli 86 anni, una vita come professore ordinario di Chirurgia all’Università di Milano e direttore del Dipartimento di Chirurgia e dei trapianti al Policlinico, mi ha confidato – a margine di un convegno su donazione di organi e trapianti – che uno dei suoi dolori più laceranti fu l’impatto con un bambino di 5 anni, trapiantato di fegato, con un decorso complicato e un mese di rianimazione. “Vivere in una selva di macchinari, con un moribondo da una parte e un malato grave dall’altra che si lamentava in continuazione, traumatizzò a tal punto quel piccolo paziente che non parlò più per 8 mesi. Poi, un po’ alla volta si riprese, ma fu uno choc per me”. E aggiunse: “Il dramma di ciò che può succedere e succede in sala operatoria quando ti muore un paziente è sconvolgente e ti resta addosso. È una vita che se ne va e porta via anche un po’ della tua. Lo stesso Thomas Starzl, il pioniere dei trapianti di fegato da cui io stesso feci esperienza, si fermò per tre mesi dopo che sotto i ferri gli morì un bambino e assistette allo strazio della mamma disperata”.
In presenza di un dolore acuto, Fassati non esitava a consigliare e prescrivere antidolorifici: “Il problema è quando siamo di fronte a un dolore come quello dei tumori, dell’artrosi deformante e altre gravi forme patologiche. Qui il dolore si trasforma in un’esasperazione continua, ossessiva, che non dà pace. Fondamentale diventa accostare alle terapie antalgiche un supporto psicologico con la vicinanza e il calore dei familiari e degli amici”. “Impossibile – per Fassati – cancellare il dolore dalle nostre esistenze, sia quello fisico che quello morale, interiore. Chi vive con un malato terminale o è provato da un lutto, deve farci i conti, non può fuggire o cancellare questo confronto, che serve comunque a crescere. La società senza dolore non esiste”.