Cuore di Bue Mojave Lo sciamano del
Figura seminale dell’art rock e oggetto di culto negli ultimi decenni, Captain Beefheart è stato spesso associato a Frank Zappa, di cui fu amico e mentore. Ma la sua musica racconta tutta un’altra storia…
Lo scenario è quello dei primi romanzi di James Ellroy e di molta letteratura hard-boiled: la California dei primi anni Cinquanta, speculazioni immobiliari e grandi infrastrutture ad alimentare una crescita economica che pone il Golden State alla guida del boom americano del dopoguerra. Località rurali, prima abitate da greggi e mandriani, si trasformano in un battibaleno in centri urbani e residenziali per la nuova classe media americana. La città di Lancaster, di fatto un sobborgo di Los Angeles ai bordi del deserto del Mojave, non fa eccezione, ed è qui che avviene l’incontro – il classico passaggio in autostop – fra Don Van Vliet (in seguito in arte Captain Beefheart) e Frank Zappa. Entrambi musicisti di genio, legano fin da subito, scambiandosi i vinili di bluesmen e jazzisti come Son House e Ornette Coleman. Negli anni successivi muovono i primi passi nel mondo del music business: Zappa trova un impiego come aiuto alla produzione in uno studio di registrazione, mentre Don rimane a Lancaster dove nel 1965 fonda la Magic Band con il chitarrista Alex St. Clair, dando il via a una proficua quanto eccentrica carriera.
Un nuovo personaggio
E qui entra in gioco un’altra figura che ha fatto la storia della musica americana: Ry Cooder. Sì, proprio lui, il musicista che ha ideato insieme a Wim Wenders Buena Vista Social Club, e a Cooder Captain si rivolge per realizzare il primo disco della Magic Band, Safe as Milk, uscito nel 1967. Blues d’avanguardia, stravagante ed energico, ma al tempo stesso provocatorio e non privo di spigolature concettuali, racchiude in sé il germe del Beefheart pensiero. Il disco ottiene un discreto successo anche Oltreoceano: John Peel, il mitico disc jockey della BBC, dedica varie trasmissioni al gruppo e inizia a seguirlo con fervore.
Chi è Beefheart?
Ma qui da noi di lui che si dice? Nel mare di creatività dei primi anni Settanta, Captain Beefheart appare come un genio bizzarro, uno sciamano del deserto trapiantato nella più grande metropoli americana, anche se i giornalisti europei tendono sempre a riproporlo come l’uomo che ha in qualche forma misteriosa influenzato Frank Zappa. Un equivoco, anche se fra i due esiste più di un punto di contatto. Mentre infatti Zappa si cimenta in una varietà di stili diversi rivelando un’ipertrofia compositiva incontenibile e talvolta sfibrante, Beefheart ritorna ad esplorare e a distorcere i caratteri blues della tradizione, adagiandoli su fervide sonorità psichedeliche, spesso riconducibili alla più classica tradizione losangelina (The Doors, Tim Buckley). In particolare con Bluejeans and Moonbeams, realizzato nel novembre del 1974, il tepore della quotidianità californiana si interseca con straniate narrazioni che vale la pena esplorare con attenzione. Tra i nove brani spicca “Observatory Crest”, il racconto di un corteggiamento estivo lungo le quiete strade che conducono al Griffith Observatory di Los Angeles, alla ricerca di rifugio dalla frenesia della metropoli.
L’eredità del Capitano
Nel 1978, con il punk e la disco music che esplodono, numerosi gruppi rock esplorano, anche spinti da necessità commerciali, nuovi universi stilistici. Quello stesso anno Beefheart, che non è mai stato disposto a cedere a compromessi, realizza con la Magic Band un disco audace, fresco, ancora una volta superando i limiti convenzionali del rock: Shiny Beast (Bat Chain Puller) diventa presto un caposaldo per l’ispirazione dei nuovi sperimentatori e un punto di riferimento per le future generazioni. Accanto a lui troviamo questa volta Eric Drew Feldman, poi tastierista e produttore di The Residents e Frank Black, nonché collaboratore e amico di PJ Harvey.
In sedici anni di carriera la Magic Band cambierà muta varie volte, fino al 1982, anno della pubblicazione di Ice Cream For Crow, ultimo album del Capitano, che a 41 anni si ritira dalla scena per dedicarsi alla pittura, attività che non aveva mai abbandonato esponendo opere audaci e personali tanto quanto la sua musica.
La riscoperta
Il carattere eclettico della band ha influenzato nel corso del tempo musicisti radicalmente diversi tra loro. I primi a riproporre la musica di Van Vliet sotto forma di cover furono i gruppi legati all’etichetta discografica britannica Imaginary Records, che nel 1988 decise di pubblicare una tribute compilation in onore della Magic Band e del suo frontman intitolata Fast’n’Bulbous. Tra le diverse band selezionate compaiono i Sonic Youth e gli XTC, anche se uno dei brani più interessanti del disco è Zig Zag Wanderer, interpretato dagli scozzesi Dog Faced Hermanns. A seguire troviamo i White Stripes che nel 2000 stamparono un EP di appena sette minuti in cui i due di Detroit riproponevano tre brani di Beefheart, tra cui una burrascosa “Ashtray Heart”. Degno di nota è poi il tour di Robyn Hitchcock, chitarrista britannico appassionato di rock sperimentale che nel 2011 ha eseguito integralmente Clear Spot, un album del 1972 di Beefheart. Su YouTube è disponibile il concerto al The Garage di Londra. Infine, i Black Midi, camaleontico e giovane trio britannico contemporaneo, hanno realizzato a marzo del 2022 Cavalcovers, brevissimo EP che include una versione di “21st Century Schizoid Man” dei King Crimson e “Moonlight in Vermont” di Captain Beefheart, originariamente pubblicato sull’estroso Trout Mask Replica (1969).