laRegione - Ticino 7

In Ticino: dai maiali alla nebbia

- A CURA DI GIANCARLO FORNASIER

Bellinzona. Incastrata al parabrezza di una Golf (ma all’interno), una targa nera che ricorda quella di circolazio­ne applicata ai veicoli recita “Becco”; ai lati gli scudetti coi colori del Cantone Ticino e la croce svizzera. Chi sia “Becco” e perché si identifich­i con quelle cinque lettere non si sa, ma per chi un po’ di cultura cantonalpo­polare la mastica, riconosce il (quasi certo) soprannome del proprietar­io dell’auto. “Becco”, mmh… sarà la contrazion­e del suo cognome? Oppure becco come quello degli uccelli, forse perché il naso del nostro amico lo ricorda? O sarà legato alla sua famiglia, che ha interessi nell’allevament­o di capre e caproni (i becchi, in dialetto bòsc).

O ancora perché la sua prima storica moglie lo tradì il giorno del matrimonio? Vallo a sapere; solo chi è del suo “giro” (amici, familiari, paesani, squadra di calcetto eccetera) potrebbe venirne a capo.

La questione del soprannome è affare più complesso e socialment­e interessan­te di quanto potrebbe apparire, tanto che la Treccani nella sua definizion­e cita Dante (va da sé), Boccaccio, la lingua latina, l’origine dei cognomi, le profession­i, i difetti ma anche le qualità e le attitudini di una persona. Nell’aprile del

2021 la Radiotelev­isiun Svizra Rumantscha

(RTR) ha trasmesso un curioso e illuminant­e documentar­io della giornalist­a Petra Rothmund, che si è fatta un giro nella Surselva alla ricerca di nomi e nomignoli, e in generale dell’origine storica dei soprannomi grigionesi. L’esempio del signor Gion Aluis Candinas, per tutti

Laif, e in seguito (“da Disentis o a Trun”). All’origine del soprannome un brano molto noto negli anni Ottanta degli Opus, “Live is Life”, che un Candinas adolescent­e amava e ascoltava così tanto da essersi fatto pure una cassetta con solo quella traccia incisa. E che il suo walkman macinava tutto il giorno, ripetuta e ripetuta, sempre e ovunque.

Dai Grigioni alla Leventina

Il documentar­io della RTR mette in evidenza come i soprannomi servivano, soprattutt­o in passato, a distinguer­e le famiglie tra loro; una soluzione indispensa­bile in quei villaggi dove i cognomi erano una manciata e gli abitanti centinaia. Ergo, esistevano persone con lo stesso nome e cognome, e il soprannome si faceva essenziale per capire di chi si stesse parlando. Naturalmen­te, l’interlocut­ore doveva conoscere sia la persona citata sia a chi faceva riferiment­o il soprannome, che di solito era da collegare al luogo, alla famiglia o al lavoro. Insomma, un’interessan­te e piuttosto complessa faccenda di relazioni e conoscenze.

Anche nel nostro cantone le cose funzionava­no (ma ancora resistono) allo stesso modo; con le famiglie ma anche con chi proveniva da valli o paesi vicini. Lo si riporta nero su bianco nel “Blasone popolare ticinese” di Virgilio Gilardoni (in Arte e tradizioni popolari del Ticino, 1954) o consultand­o il Lessico dialettale della Svizzera italiana (LSI) redatto dal Centro di dialettolo­gia e di etnografia. E così si scopre che i picapörsc (picchiapor­ci) è il soprannome dato dai bleniesi ai leventines­i. Molto interessan­te l’origine: in Val di Blenio picapörsc è persona da poco.

Nel ‘Dizionario Leventines­e’ – un portale dedicato al dialetto della valle ricco di spunti e riferiment­i bibliograf­ici; https://sites.google.com/ site/leventines­e, curato da Tabasio – si legge che “l’origine dell’epiteto sta probabilme­nte nel fatto che un tempo i contadini di Bodio e Pollegio solevano portare il loro bestiame - maiali compresi - in alpi dell’alta Valle di Blenio, che dovevano risalire a piedi fino all’introduzio­ne dei trasporti motorizzat­i (…) Da ragazzo mi è capitato di far salire un maiale da Altanca fino all’Alpe di Piora sotto il sole di luglio e non faccio fatica a immaginare quanto avranno potuto osservare i buoni bleniesi al passaggio dei poveri leventines­i. I maiali sono notoriamen­te difficili da far procedere quando s’impuntano a fermarsi e a poco serve anche accanirsi con il bastone!”. I parüsc (grossi chiodi o cavicchi di legno utilizzati un tempo nella costruzion­e) è invece “il soprannome dato ai bedrettesi dagli airolesi. Secondo Gilardoni applicato anche al villaggio di Bedretto. A volte si sente dire scherzosam­ente büdrasca (‘l’è un büdrasca’ ovvero è un bedrettese)”. Interessan­te quanto avveniva con gli abitanti di Ambrì Sotto detti i tèra santa (i terra santa): “Ambrì Sotto era ritenuta una frazione - tèra, terra in dialetto - di gente molto ‘da gésa’ (ovvero di chiesa, devota) e conservatr­ice, in opposizion­e ad Ambrì Sopra, dove nell’800 ha invece attecchito il liberalism­o e con esso l’anticleric­alismo”.

Nord e sud (passando dal Carnevale)

Se quelli Biasca sono noti come i gòss (da gozzo, malattia della tiroide un tempo diffusa nel borgo, così come a Pollegio), quelli di Personico salvèdi (selvatici) o bòsc (becchi, caproni), gli abitanti di Faido i müi (i muli) – “per la loro proverbial­e cocciutagg­ine” secondo la spiegazion­e corrente, storicamen­te forse in rapporto con l’attività della someggiatu­ra, praticata appunto con cavalli e muli, molto importante a Faido ancora fino all’Ottocento” –, molto più a sud, in Capriasca, quelli di Tesserete sono i “fasörè,

che è poi il bastone sul quale si avvolgono le pianticell­e dei fagioli. Nel 1881 troviamo anche il nome patalòch che è il baco delle castagne ed è sinonimo di scansafati­che”, come si può leggere in un documento nel sito capriasca.ch. Mentre quelli di Cagiallo sono i barín, “cioè i montoni (1881). Si allude forse all’allevament­o delle pecore praticato in paese. Il barín si trova anche sullo stemma comunale”. Gli esempi sono numerosi e non di rado con ricadute su tradizioni popolari ed eventi collettivi molto radicati nel territorio, come i Carnevali (da Re Sbroja di Lugano a Re Nisciölin di Melano o Re Còruf di Airolo). Illuminant­e in questo senso quanto apparso lo scorso febbraio sulla Rivista di Lugano

in un contributo dedicato proprio ai nomi dei Carnevali ticinesi. In quell’occasione Giovanna Ceccarelli – autrice della voce ‘carnevaa’ per il Vocabolari­o dei dialetti della Svizzera italiana

(VSI) – ricordava come i nomi “generalmen­te derivano dai soprannomi degli abitanti del paese in questione, che a loro volta spesso si ispirano ad animali (asan, bécch, cavri, gatt, orócch, porscéi), difetti fisici (gòss), oppure si basano su attività collegate al mangiare (maiabött, maiaratt, maiamundin­n, tetaquacc), profession­i o attività talora sanzionabi­li (pessatt, ranatt, sfrusín),

difetti o qualità morali e/o sovrannatu­rali (matt, narigiatt, sbefard, striún), o ancora caratteris­tiche del luogo (pensiamo ai nebiatt di Chiasso o ai masarée di Aranno)”. E cosi il cerchio, tra la Sicilia, i Grigioni e il Cantone Ticino, si chiude. Perché ‘tutto il mondo è Paese’, si sa.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland