In Ticino: dai maiali alla nebbia
Bellinzona. Incastrata al parabrezza di una Golf (ma all’interno), una targa nera che ricorda quella di circolazione applicata ai veicoli recita “Becco”; ai lati gli scudetti coi colori del Cantone Ticino e la croce svizzera. Chi sia “Becco” e perché si identifichi con quelle cinque lettere non si sa, ma per chi un po’ di cultura cantonalpopolare la mastica, riconosce il (quasi certo) soprannome del proprietario dell’auto. “Becco”, mmh… sarà la contrazione del suo cognome? Oppure becco come quello degli uccelli, forse perché il naso del nostro amico lo ricorda? O sarà legato alla sua famiglia, che ha interessi nell’allevamento di capre e caproni (i becchi, in dialetto bòsc).
O ancora perché la sua prima storica moglie lo tradì il giorno del matrimonio? Vallo a sapere; solo chi è del suo “giro” (amici, familiari, paesani, squadra di calcetto eccetera) potrebbe venirne a capo.
La questione del soprannome è affare più complesso e socialmente interessante di quanto potrebbe apparire, tanto che la Treccani nella sua definizione cita Dante (va da sé), Boccaccio, la lingua latina, l’origine dei cognomi, le professioni, i difetti ma anche le qualità e le attitudini di una persona. Nell’aprile del
2021 la Radiotelevisiun Svizra Rumantscha
(RTR) ha trasmesso un curioso e illuminante documentario della giornalista Petra Rothmund, che si è fatta un giro nella Surselva alla ricerca di nomi e nomignoli, e in generale dell’origine storica dei soprannomi grigionesi. L’esempio del signor Gion Aluis Candinas, per tutti
Laif, e in seguito (“da Disentis o a Trun”). All’origine del soprannome un brano molto noto negli anni Ottanta degli Opus, “Live is Life”, che un Candinas adolescente amava e ascoltava così tanto da essersi fatto pure una cassetta con solo quella traccia incisa. E che il suo walkman macinava tutto il giorno, ripetuta e ripetuta, sempre e ovunque.
Dai Grigioni alla Leventina
Il documentario della RTR mette in evidenza come i soprannomi servivano, soprattutto in passato, a distinguere le famiglie tra loro; una soluzione indispensabile in quei villaggi dove i cognomi erano una manciata e gli abitanti centinaia. Ergo, esistevano persone con lo stesso nome e cognome, e il soprannome si faceva essenziale per capire di chi si stesse parlando. Naturalmente, l’interlocutore doveva conoscere sia la persona citata sia a chi faceva riferimento il soprannome, che di solito era da collegare al luogo, alla famiglia o al lavoro. Insomma, un’interessante e piuttosto complessa faccenda di relazioni e conoscenze.
Anche nel nostro cantone le cose funzionavano (ma ancora resistono) allo stesso modo; con le famiglie ma anche con chi proveniva da valli o paesi vicini. Lo si riporta nero su bianco nel “Blasone popolare ticinese” di Virgilio Gilardoni (in Arte e tradizioni popolari del Ticino, 1954) o consultando il Lessico dialettale della Svizzera italiana (LSI) redatto dal Centro di dialettologia e di etnografia. E così si scopre che i picapörsc (picchiaporci) è il soprannome dato dai bleniesi ai leventinesi. Molto interessante l’origine: in Val di Blenio picapörsc è persona da poco.
Nel ‘Dizionario Leventinese’ – un portale dedicato al dialetto della valle ricco di spunti e riferimenti bibliografici; https://sites.google.com/ site/leventinese, curato da Tabasio – si legge che “l’origine dell’epiteto sta probabilmente nel fatto che un tempo i contadini di Bodio e Pollegio solevano portare il loro bestiame - maiali compresi - in alpi dell’alta Valle di Blenio, che dovevano risalire a piedi fino all’introduzione dei trasporti motorizzati (…) Da ragazzo mi è capitato di far salire un maiale da Altanca fino all’Alpe di Piora sotto il sole di luglio e non faccio fatica a immaginare quanto avranno potuto osservare i buoni bleniesi al passaggio dei poveri leventinesi. I maiali sono notoriamente difficili da far procedere quando s’impuntano a fermarsi e a poco serve anche accanirsi con il bastone!”. I parüsc (grossi chiodi o cavicchi di legno utilizzati un tempo nella costruzione) è invece “il soprannome dato ai bedrettesi dagli airolesi. Secondo Gilardoni applicato anche al villaggio di Bedretto. A volte si sente dire scherzosamente büdrasca (‘l’è un büdrasca’ ovvero è un bedrettese)”. Interessante quanto avveniva con gli abitanti di Ambrì Sotto detti i tèra santa (i terra santa): “Ambrì Sotto era ritenuta una frazione - tèra, terra in dialetto - di gente molto ‘da gésa’ (ovvero di chiesa, devota) e conservatrice, in opposizione ad Ambrì Sopra, dove nell’800 ha invece attecchito il liberalismo e con esso l’anticlericalismo”.
Nord e sud (passando dal Carnevale)
Se quelli Biasca sono noti come i gòss (da gozzo, malattia della tiroide un tempo diffusa nel borgo, così come a Pollegio), quelli di Personico salvèdi (selvatici) o bòsc (becchi, caproni), gli abitanti di Faido i müi (i muli) – “per la loro proverbiale cocciutaggine” secondo la spiegazione corrente, storicamente forse in rapporto con l’attività della someggiatura, praticata appunto con cavalli e muli, molto importante a Faido ancora fino all’Ottocento” –, molto più a sud, in Capriasca, quelli di Tesserete sono i “fasörè,
che è poi il bastone sul quale si avvolgono le pianticelle dei fagioli. Nel 1881 troviamo anche il nome patalòch che è il baco delle castagne ed è sinonimo di scansafatiche”, come si può leggere in un documento nel sito capriasca.ch. Mentre quelli di Cagiallo sono i barín, “cioè i montoni (1881). Si allude forse all’allevamento delle pecore praticato in paese. Il barín si trova anche sullo stemma comunale”. Gli esempi sono numerosi e non di rado con ricadute su tradizioni popolari ed eventi collettivi molto radicati nel territorio, come i Carnevali (da Re Sbroja di Lugano a Re Nisciölin di Melano o Re Còruf di Airolo). Illuminante in questo senso quanto apparso lo scorso febbraio sulla Rivista di Lugano
in un contributo dedicato proprio ai nomi dei Carnevali ticinesi. In quell’occasione Giovanna Ceccarelli – autrice della voce ‘carnevaa’ per il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana
(VSI) – ricordava come i nomi “generalmente derivano dai soprannomi degli abitanti del paese in questione, che a loro volta spesso si ispirano ad animali (asan, bécch, cavri, gatt, orócch, porscéi), difetti fisici (gòss), oppure si basano su attività collegate al mangiare (maiabött, maiaratt, maiamundinn, tetaquacc), professioni o attività talora sanzionabili (pessatt, ranatt, sfrusín),
difetti o qualità morali e/o sovrannaturali (matt, narigiatt, sbefard, striún), o ancora caratteristiche del luogo (pensiamo ai nebiatt di Chiasso o ai masarée di Aranno)”. E cosi il cerchio, tra la Sicilia, i Grigioni e il Cantone Ticino, si chiude. Perché ‘tutto il mondo è Paese’, si sa.