laRegione - Ticino 7

Sui sentieri dell’anima

- DI GIANCARLO FORNASIER FOTOGRAFIA © STEFAN KUBLI

Una sera d’estate un uomo si alza dalla panchina del giardino di casa, lascia mezzo bicchiere di vino, qualche pagina di giornale e s’incammina.

Perché? Dove va? Tornerà? Nell’ultimo romanzo di Peter Stamm i quesiti non mancano, le possibilli risposte (invece) sono tutte da costruire. “Cosa rende talvolta così difficile decidere la direzione da scegliere? La natura possiede, io ritengo, un magnetismo sottile in grado di guidarci nella giusta direzione, se a esso ci abbandonia­mo. Non è indifferen­te scegliere l’una o l’altra strada. Solo una è quella giusta. Ma siamo spesso così stolti e incuranti da scegliere quella sbagliata. Vorremmo avanzare lungo quella strada, non ancora percorsa nel mondo reale, che sia il simbolo perfetto del cammino che amiamo intraprend­ere nel mondo interiore e ideale: ed è indubbiame­nte difficile scegliere la direzione, se essa non è ancora distintame­nte tracciata in noi”.

(da Camminare di Henry David Thoreau, 1581)

Forse c’entrano anche Thoreau e la wilderness (la terra selvaggia, mettetela così) quale spazio fisico e mentale di abbandono e di ricerca di sé in questo romanzo breve di Peter Stamm. Di certo la natura è molto presente, almeno per Thomas, il marito di Astrid. Eccoli lì, seduti nel loro giardino, la sera stessa del ritorno da una vacanza al mare coi figli. Ritrovano il quartiere e la routine di una vita ordinata, con la certezza che il giorno seguente sarà uno dei tanti, passati e futuri: l’ufficio, la scuola, le cene, la vita sociale in una piccola comunità.

E una relazione di coppia costruita sui progetti comuni e sulle sicurezze. Almeno apparenti.

Ombre e fughe

“Di giorno i cespugli che separavano il terreno da quello dei vicini quasi non si notavano, si perdevano nel verde circostant­e; ma quando calava il sole

(...) l’intera superficie quadrata del prato cadeva nell’ombra, una cella buia da cui non c’era scampo”. Gli elementi e i colori, il giorno e la notte si inseguono e si confondono. Luci, ombre e molti importanti silenzi: nella pace della sera Thomas si alza e se ne va, evitando accuratame­nte di fare rumore. Astrid di quella mancata presenza e del silenzio del marito se ne renderà conto solo il giorno seguente, quando una segretaria lo cerca e a cena non si presenta. Un silenzio che si farà sempre più cupo e assordante. Costruito su quadri psicologic­i, a volte intimi a volte più descrittiv­i, i due coniugi si raccontano, a distanza. Il lettore vive la separazion­e attraverso le emozioni, i ricordi, le figure che entrano ed escono dalle loro giornate, lontane e diverse. Da una parte i pensieri, i sentieri, la natura; dall’altra le attese, le coperture, i dubbi. Scorrono le pagine, il tempo si contrae e si dilata. I resoconti si sovrappong­ono, a volte sorpassand­osi. Muovendosi inizialmen­te nella Svizzera orientale e centrale (in seguito valicherà anche il Gottardo), Thomas cammina lontano dalla civiltà. Più la geografia e la morfologia si fanno aliene, meno pare temere il confronto con gli altri, inevitabil­mente necessario per poter sopravvive­re e trovare sistemazio­ni dove dormire e rifugiarsi. Non è un animale in fuga; appare più come un pellegrino senza meta. Non cerca nulla, e il suo equilibrio ha il ritmo dei passi che percorre. Astrid, alla stregua di una complice quasi apatica, copre sia ai figli (papà è via per lavoro) sia al datore di lavoro (malanni di varia natura) la sparizione del marito. Poi, in una sorta di atto dovuto, con vergogna decide di denunciare l’accaduto alla polizia, ma in un limbo tra reticenza e impotenza.

Vicini e lontani

“Astrid passò in rassegna le fotografie della settimana bianca, di Natale, delle vacanze estive dell’anno prima, ma anche tra quelle non ce n’era nessuna in cui si vedesse bene Thomas”. Alla fine un ritratto del marito da consegnare alle autorità lo trova, mentre sarà il bisogno di cibo e di vestiti ad accelerare la narrazione. Thomas utilizza la carta di credito (certo, sapendo che potrebbe essere rintraccia­to) e le operazioni bancarie non passano inosservat­e: il segnale che l’uomo è vivo e non è nemmeno molto lontano da casa scuotono la donna. L’unità cinofila della Polizia sarà utilissima, ma le tracce di Thomas si perdono su montagne avvolte dalla nebbia, sentieri isolati e pericolosi burroni. In un rincorrers­i di gesti legati alla sopravvive­nza quotidiana (fisica e mentale), le settimane passano e la richiesta sociale del lutto – per tutti l’unica risposta plausibile – si fa pressante, quasi obbligata perché Astrid possa ricostruir­si una serenità e una vita: “Thomas era scomparso da un mese. Astrid aveva presentito fin dall’inizio che non sarebbe tornato, la sua morte era la soluzione più facile, spazzava via tutte le domande, scacciava ogni incongruen­za, i motivi della scomparsa, il sentiero che Thomas aveva scelto (...). Anche le spiegazion­i impacciate e contraddit­torie di Astrid, i suoi pretesti e bugie, nessuno avrebbe più fatto domande in merito”. Spesso duro e doloroso, permeato da una visione dell’amore e degli affetti che rimane una questione intima, insondabil­e e da proteggere, Andarsene (apparso in tedesco nel 2016; Weit über das Land) è un romanzo fatto di immagini che s’incollano alle parole. In un gioco delle parti, il lettore si muove disarmato seguendo le emozioni dei protagonis­ti, tra insicurezz­e e presentime­nti. Se in fondo tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo avuto il desiderio di andarcene, tutti (almeno una volta nella vita) abbiamo provato a elaborare i fantasmi di chi ha deciso di partire.

Per poche ore, a volte per sempre.

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