La ‘Psicopolitica’ di Byung-chul Han
“Un’infinita possibilità di connessione e di informazione ci rende veramente soggetti liberi?”. Questo è l’interrogativo a cui risponde il filosofo sudcoreano-statunitense nel suo saggio del 2014 – tradotto in italiano da Nottetempo nel 2016 –, tratteggiando la nuova società psicopolitica, che non si impone con divieti, ma ci spinge in continuazione a comunicare, condividere, esprimere opinioni e desideri, raccontare la nostra vita. Mappa la nostra psiche attraverso i big data, che vengono monetizzati e commercializzati, e ci stimola all’uso di dispositivi di automonitoraggio. Nel panottico digitale del nuovo millennio, di Internet e degli smartphone, veniamo twittati o postati: c’è un cambio di paradigma, la libertà si trasforma in giogo. L’automazione porta a un’immobilità del corpo organico, controllato e intorpidito. In Cina, per esempio, la tecnologia della sorveglianza usa già il riconoscimento facciale (vedi le Olimpiadi di Pechino), lo spionaggio informatico, le telecamere e gli algoritmi per rilevare il comportamento d’ogni singolo cittadino e assegnargli un punteggio, in base al quale avrà accesso o meno a determinati servizi o potrà subire delle sanzioni attraverso il sistema di credito sociale. Per difenderci,
Han ci invita a diventare eretici, non conformisti, a optare per una libera scelta. Foucault stesso mette al centro delle sue ricerche non il potere, ma la libertà del soggetto. Nell’era onlife, la filosofia può aiutarci a dare un senso anche ai cambiamenti radicali prodotti dalla rivoluzione dell’infosfera.