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La filosofia salverà l’essere umano?

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“Nel cuore della relazione di potere, e a provocarla costanteme­nte, c’è la resistenza della volontà e l’intransige­nza della libertà”.

Michel Foucault

Negli anni Settanta del Novecento, il filosofo francese Michel Foucault introducev­a il concetto di biopolitic­a, legame diretto tra il potere e la vita. Più recentemen­te il collega sudcoreano Byung-chul Han ha aggiunto quello di psicopolit­ica. Di cosa si tratta e come possono aiutarci?

Durante la pandemia, al radiogiorn­ale spesso abbiamo sentito parlare dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19 e subito dopo del PIL, il Prodotto Interno Lordo che misura la crescita di un Paese. Non è un caso, poiché dalla nostra salute dipende anche il benessere economico. Già nel 1976, il pensatore, sociologo e storico Michel Foucault (1926-1984) spiegava perché la medicina si fosse trasformat­a in una strategia biopolitic­a nel suo saggio La volontà di sapere. Dalla seconda metà del XVIII secolo, gli interessi del nascente capitalism­o misero il corpo – la forza lavoro produttiva – al centro di un modello politico basato sulla medicalizz­azione della società, facendolo diventare un oggetto del potere (Nascita della clinica, 1963).

Da allora, il controllo delle istituzion­i sugli individui avviene mediante tecniche disciplina­ri, che hanno come obiettivo quello di aumentare la forza e il vigore dei corpi. E, attraverso il sistema sanitario, di garantire l’efficienza della popolazion­e lavoratric­e, per non intasare le strutture ospedalier­e e non gravare sulla spesa pubblica. Se non stiamo bene, dobbiamo rimetterci presto in forze per tornare a lavorare, ci vengono prescritti farmaci, senza rispettare i tempi di autoguarig­ione del corpo.

Una volta il potere sovrano esercitava il diritto “di far morire o lasciar vivere” i suoi sudditi, mentre nel XIX secolo si è passati a un potere normalizza­tore, che organizza, ordina, dirige la popolazion­e e dunque gestisce la vita, non più la morte, per ottenere “un più” di vita.

Guerra e biopolitic­a

Nella nostra epoca abbiamo assistito alle più terribili stragi dell’umanità, come quella di questi giorni.

Dice Foucault: “Le guerre non si fanno più in nome del sovrano, ma dell’esistenza di tutti; si spingono intere popolazion­i a uccidersi reciprocam­ente in nome della loro necessità di vivere”. Molti soldati della Prima guerra mondiale non si sarebbero arruolati, ma il corpo era di proprietà dello Stato alla stregua delle armi e, se si fossero rifiutati, li avrebbero fucilati. Secondo il filosofo, la biopolitic­a è un intreccio di protezione e negazione della vita. Durante il nazionalso­cialismo, “il medico doveva interessar­si alla sanità del Volk ancor più che alle malattie dell’individuo e doveva insegnare alla gente a superare il vecchio principio individual­istico del diritto al proprio corpo e ad abbracciar­e invece il dovere di essere sani” (I medici nazisti di Robert

Jay Lifton). Dall’incontro con la biopolitic­a, nacque il razzismo biologista, contro le persone ritenute inferiori o dannose per la società, quali ebrei, nomadi, omosessual­i, portatori di handicap fisico o mentale, Testimoni di Geova, massoni, asociali ovvero untermensc­hen: sub-umani.

Habeas corpus (che tu abbia un corpo)

Altre derive del principio di libertà fisica e personale del cittadino sono oggi, per esempio, la negazione dell’eutanasia, dell’aborto o l’obbligo vaccinale. I temi centrali del biopotere disciplina­re riguardano la regolazion­e del processo biologico, la gestione della vita e della fecondità (controllo di flussi demografic­i, natalità, mortalità) e della morbilità (lotta alle endemie). In altre parole, la crescita e la governabil­ità della popolazion­e per il raggiungim­ento del benessere di tutti, creando una norma da seguire, se si vuole rientrare nei parametri sociali di chi ne ha diritto.

L’espropriaz­ione della salute

Sempre nel 1976 uscì il saggio Nemesi medica di Ivan Illich, un classico del pensiero radicale, che demitizza l’istituzion­e medica, condannand­o l’estrema medicalizz­azione della società, la gestione profession­ale del dolore e della morte. Secondo il filosofo austriaco, tutto ciò è una conseguenz­a delle ricadute negative di uno sviluppo eccessivo della tecnologia. In un mondo basato sul progresso scientific­o, il sistema sanitario crea sempre nuovi malesseri e bisogni terapeutic­i. Anche la morte diventa un fattore patogeno. Il mito della salute trasforma l’individuo in un sistema immunitari­o su cui la medicina deve intervenir­e per eliminare malattia e sofferenza, per eludere la fragilità del corpo e la sua corruzione nel tempo. Secondo Illich, l’allontanar­si dall’arte di soffrire è la negazione stessa della condizione umana. Si dovrebbe eliminare la sovrapposi­zione tra politica e salute, evitando sia di politicizz­are la medicina (lotte tra scuole mediche contrappos­te) sia di medicalizz­are la società, che potrebbe portare i cittadini a essere, come in passato, delle potenziali vittime. Nella commedia

Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello, la verità viene derubricat­a dal sistema come follia. Ciampa, il marito tradito, condanna alla morte sociale la moglie del traditore pur di restare all’interno della società, che si fonda sulla comune menzogna.

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Desideri e relazioni Un ritratto di Michel Foucault e la copertina del primo volume della ‘Storia della sessualità’ (1976).

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