Non perfetti, ma ottimi
Eppure si fa. Si fa con chili di frutta e verdura di scarto, fuori calibro, fuori tempo massimo per il circuito della grande distribuzione. Tanti chili. Quasi 15mila, sinora. Qui le si rigenera e le si valorizza in mille modi: conserve, crauti, sali aromatici, crackers, marmellate. Venduti singolarmente o usati nella cucina del bistrot. Il progetto ha un nome che è uno spettacolo: testedirapa. E a ben vedere, in un contesto alimentare come quello a cui siamo abituati, coi faretti ai soffitti dei supermercati puntati dritti sui pomodori per farli sembrare più rossi, mettersi a dare valore a questo cibo così imperfetto sembra proprio una cosa da... teste di rapa. E non me ne vorranno certo Wanda, Marinella e Marco se evoco la Treccani che definisce “testa di rapa” una - cito “persona stupida e sciocca (per similitudine col gusto insipido della rapa)”. La rapa però in questo caso di gusto ne ha eccome. Ha un sacco di virtù. Come le mele, le patate, le clementine, i porri, gli spinaci.
Sono figlie della pandemia, le testedirapa. “Quando hanno chiuso tutto - racconta Wanda - ci siamo ritrovati con cibo in eccesso qui al bistrot, soprattutto frutta e verdura. Dovevamo farne qualcosa: abbiamo cominciato a trasformarlo in conserve e ad acquistare le eccedenze dei nostri fornitori che si trovavano nella stessa situazione. Abbiamo poi capito che questo stava diventando un progetto concreto che poteva coinvolgere agricoltori alle prese con merce rifiutata dalla grande distribuzione”.
Il principio è quello della cucina sostenibile. Zero spreco, non si butta via nulla. E questo vale anche per gli imballaggi: le etichette non sono incollate ai vasetti, ma tenute fisse con un elastico. Tutto si ricicla, si riutilizza.