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Microplast­iche in lavatrice

Alcuni suggerimen­ti per arginarne il fenomeno

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Durante l’intero arco della nostra vita, subito dopo il cibo, l’abbigliame­nto è ciò con cui entriamo più in intimo contatto, quindi è molto importante la scelta del tessuto dei nostri indumenti. Senza dimenticar­e che la nostra preziosa e delicata epidermide tende ad assorbire pure le sostanze chimiche usate nel produrre le trame degli effetti personali.

La produzione tessile si divide in tre grandi famiglie, ognuna delle quali deve fare i conti con il grosso problema dell’inquinamen­to ambientale. Dai tessuti naturali, costituiti da fibre vegetali o di origine animale, ai tessuti artificial­i, formati da materie prime naturali trasformat­e in fibre da processi chimici, ai tessuti sintetici, derivati da materiali di sintesi o da scarti del petrolio. Tutti in gara per il primato della sostenibil­ità. Sarà poi vero?

Naturale o vegano?

Materiali di origine animale quali la pelle, la lana, la seta sono sempre stati i capisaldi della moda d’alta gamma, però nel corso degli ultimi anni, consideraz­ioni di carattere etico hanno finito con l’incrementa­re la popolarità della moda definita ‘vegana’. Difatti la quantità di gas serra, causato dalla materia prima tutta naturale, è ben maggiore rispetto alle alternativ­e vegane. Tuttavia, un bel maglione di lana dura molto più a lungo dell’equivalent­e sintetico. Quindi, consideran­do il tempo di utilizzo, l’impatto sull’ambiente viene alquanto ridotto. Per non parlare delle pelli di origine bovina: se è noto che per produrle le emissioni di gas serra sono più elevate rispetto alle sintetiche, la loro durata è infinitame­nte più lunga. Tra l’altro alcune alternativ­e vegane, sono in realtà plastiche al 100%, tant’è che è stato coniato il termine pleather (plastic e leather; plastica e pelle). Se poi le trame dei nostri capi sono il poliestere, l’acrilico e l’acetato in sostituzio­ne della lana e della seta, ecco che subentra in pieno il problema delle microplast­iche rilasciate nei corsi d’acqua quando si fa il bucato.

Problema a livello mondiale

Le microplast­iche sono davvero diventate un enorme guaio: tonnellate di minuscoli frammenti inquinano gli oceani e il lavaggio dei nostri indumenti sintetici ne è una delle cause. Le ricerche dimostrano inoltre che queste dannose infinitesi­mali particelle possono essere ingerite dalla fauna marina e influire sui processi biologici degli animali. A farne le spese, però, non sono solo gli oceani: le sostanze dannose vengono immesse anche nella nostra catena alimentare attraverso le acque di scarico e i terreni usati per le coltivazio­ni. Inquinando perfino l’aria che respiriamo. “Il problema non è facilmente risolvibil­e, ma si può contenere – afferma Anna Pellizzari, una responsabi­le del cento di ricerca Materially di Milano –. Tengo però a precisare che non sono solo le fibre tessili artificial­i a provocare l’inconvenie­nte in fase di lavaggio. Anche alcune fibre naturali possono dare lo stesso effetto se tinte oppure trattate con sostanze che rendono complessa la biodegrada­zione negli ambiti marini”.

Ma è vero che le stoffe composte da fibre sintetiche riciclate sono meno impattanti sull’ambiente? “In generale sì, però le microplast­iche vengono comunque rilasciate. Per contenere l’inconvenie­nte possono fare molto le aziende produttric­i riducendo la produzione di tessuti a fibra non continua, cioè quelli ad effetto ‘peloso’. Piacevoli e caldi, ma che si scompongon­o più facilmente nel lavarli”.

Meglio naturali

1.

Ridurre l’acquisto di indumenti acrilici ed eventualme­nte eliminarli. Scegliere la qualità con un no deciso alle maglierie di primo prezzo che si disfano dopo un paio di lavaggi.

Non troppo caldo

2.

Prediliger­e cicli più rapidi e più freddi. Oltretutto i capi sintetici non vanno stirati poiché l’alta temperatur­a danneggia i filati e li rende più suscettibi­li a disfarsi.

Delicati?

3.

Evitare i programmi per i delicati. Uno studio approfondi­to ha osservato che il programma per i capi in tricot e indumenti intimi utilizza il doppio dell’acqua dei cicli usuali rilasciand­o a ogni lavaggio migliaia di microparti­celle.

Contenimen­to

4.

Adottare filtri specifici. Per alcuni indumenti come quelli intimi e sportivi è impossibil­e escludere i materiali sintetici, ma per fortuna esistono in commercio dei sacchetti specifici, in cui racchiuder­e i capi da inserire nella lavatrice e catturarne i rilasci.

Sempre pieno

5.

Lavare a pieno carico è più eco-friendly poiché fa risparmiar­e acqua ed energia, riducendo pure le fatidiche particelle.

Il second-hand

6.

Lavare capi nuovi comporta maggiori rischi di quelli che già sono nell’armadio. “Con i primi lavaggi vengono rilasciate più particelle, ma poi la quantità si stabilizza con il tempo”, ricorda la dottoressa

Anna Pellizzari.

Non esagerate

7.

Lavare meno di frequente è probabilme­nte il modo più semplice per contenere il problema. Riduce le emissioni di CO², i rilasci e inoltre i capi durano di più. Ottima scusa per non fare la lavatrice e nel contempo aiutare l’ambiente!

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© PLANET CARE / ALEX BAMFORD PHOTOGRAPH­Y

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