Arturo, il cinghiale buono
In un bel soleggiato mattino di primavera, in un meraviglioso bosco fitto di querce, castagni secolari e faggi, nacque Arturo, un piccolo cinghiale sano e robusto con un simpatico ciuffo di peli marroni e rossicci sulla fronte. Era il più grosso e vivace della cucciolata, e sin dal primo giorno riusciva a farsi spazio tra i suoi quattro fratelli per attaccarsi alla mammella della madre gonfia di latte e nutrirsi in abbondanza. Il bosco di Arturo era vicino a un piccolo borgo dove la vita scorreva lenta e serena, tuttavia i suoi abitanti non perdevano occasione per andare a caccia e gli uomini si preparavano tutto l’anno in attesa del periodo di apertura della caccia per addentrarsi nel bosco con i loro cani e stanare i cinghiali, inseguendoli fino ad accerchiarli armati di fucili. La mamma di Arturo conosceva bene quanto fosse pericoloso questo periodo dell’anno ed era riuscita sempre a salvarsi nascondendosi con i suoi piccoli in una grande cavità sottoterra. Arturo cresceva forte e sano imparando i segreti del bosco e, in alcune occasioni, aveva conosciuto gli uomini accettando il cibo che questi gettavano nell’ambiente. Non capiva perché la sua mamma avesse così paura di quelle creature così gentili, ma una mattina fu svegliato da rumori fortissimi, come quelli provocati dai fulmini durante il temporale, era il primo giorno di caccia e quei tuoni erano le fucilate dei cacciatori. Improvvisamente spuntarono dalla vegetazione dei cani che si misero a ringhiare contro di lui; Arturo non sapeva se scappare o nascondersi o difendersi quando notò che i cani rivolgevano la loro attenzione da un’altra parte. In un attimo i cani si gettarono abbaiando su due dei suoi fratelli che provarono a scappare ma furono bloccati dai segugi. Dal bosco uscì un cacciatore con la doppietta che mirando a uno dei cinghiali suoi fratelli sparò due colpi di fucile. Il povero cinghiale cadde a terra e il suo respiro si faceva sempre più rumoroso e difficile. Arturo aveva assistito a tutta questa scena terribile nascosto tra le foglie e vide il cacciatore che legava i cani e si avvicinava al cinghiale ferito, suo fratello. All’improvviso successe qualcosa di imprevisto, il cacciatore urlò tenendosi il petto e cadde sul terreno rotolandosi e lamentandosi dal dolore, anche lui divenne pallido e sudato e lasciò andare il fucile. Arturo vide il cacciatore steso a terra insieme al cinghiale ferito, sembravano due animali colpiti dallo stesso destino, entrambi in cerca di aiuto. Il piccolo Arturo si avvicinò e riconobbe nel cacciatore la persona che spesso, quando era piccolo, gli tirava il pane. Vicino al cacciatore c’era un pezzo di corteccia fatto a scodella dove si era raccolta l’acqua piovana, Arturo avvicinò con il muso l’acqua al suo fratello cinghiale che bevve e poi al cacciatore che bevve. Poco dopo Arturo notò che suo fratello si era ripreso, dolorante e con una zampetta ferita riuscì a scappare nel bosco e raggiungere la mamma e i fratelli al sicuro. Scese la notte e Arturo vedendo il cacciatore tremare si accovacciò vicino a lui e lo riscaldò coprendolo parzialmente, poi si addormentò. Alcune ore dopo arrivò l’alba e cominciarono a udirsi suoni di pentole e grida di una squadra di uomini che cercavano il cacciatore agonizzante. Arturo scappò di corsa nel bosco, il cacciatore era ancora vivo, fu soccorso e alcuni mesi dopo guarì ristabilendosi completamente. L’anno seguente la caccia non arrivò, arrivarono nel bosco alcuni uomini e bambini ma armati solo di macchine fotografiche. La generosità e l’altruismo di Arturo aveva trasformato l’animo di quel cacciatore che aveva creato un parco-riserva per gli animali del bosco. Da allora gli animali vivono nel bosco senza terrore e gli uomini aiutano gli animali e le piante a crescere e vivere in armonia rispettando la natura e la vita del bosco. Per una volta l’uomo era stato capace di apprezzare la generosità e l’amore che muove la natura e capire che la caccia non può essere un divertimento se genera negli animali e nell’uomo stesso dolore, paura, violenza e morte senza portare alcun beneficio o contributo alla comunità degli esseri viventi.