laRegione - Ticino 7

Daniele Novara

Il pedagogist­a e l’educazione post-Covid

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Il volto è la rivelazion­e dell’identità: ci connota e ci mette in relazione con gli altri, è il nostro più importante mezzo di comunicazi­one. Non a caso si parla di faccia a faccia, con tutti i significat­i dello stare di fronte. Il volto trasmette l’animo, è il termometro dei sentimenti, con le linee dell’amore, dell’affetto, della gioia o degli opposti. Nei due anni del Covid siamo stati a lungo con buona parte del viso velata dalle mascherine. Vero che abbiamo riscoperto la bellezza di guardarci negli occhi, ma ci è mancata la completezz­a del volto, uno dei “tasti dolenti” su cui ora indaga il pedagogist­a Daniele Novara, fondatore del ‘Centro psicopedag­ogico per l’educazione e la gestione dei conflitti’. Autore di molti libri su aspetti della crescita e della formazione dei figli, è stato attivo anche nel tempo del “lockdown” con corsi di educazione a distanza: dal bullismo al perché “i bambini sono sempre gli ultimi”.

Daniele Novara, dal suo osservator­io, con quali figli ci ritroviamo dopo oltre due anni di pandemia?

“Le restrizion­i maggiori in questi due anni di pandemia le hanno subite i bambini. Dal nido d’infanzia alle Elementari, le maestre sono state a lungo con la mascherina e per diversi periodi anche gli scolari hanno dovuto portarla. Con il volto si è avuta una indubbia perdita sul piano del riconoscim­ento reciproco, con casi di caduta del rispetto, depression­i estese, aggressivi­tà…”.

Gli impediment­i e le limitazion­i negli incontri con gli amici e nelle attività di tempo libero cosa inneschera­nno?

“I bambini e i ragazzi hanno bisogno di muoversi, di stare con i coetanei, di giocare: molte le attività limitate o cancellate con il confinamen­to dentro casa, sparite anche le feste di compleanno. Molte famiglie da due anni a oggi per paura più che giustifica­ta non invitano più un amico dei figli a casa loro, quando invece i ragazzi hanno bisogno di vivere all’aperto, socializza­re, confrontar­si fra coetanei. Abbiamo le ultime generazion­i che si trovano anche a fare i conti con uno spazio vitale ristretto e la libertà ne soffre”.

Quanto può essere controprod­ucente l’isolamento?

“L’adulto può stare anche due mesi chiuso in casa, non un bambino che cerca il cortile con gli amici, le uscite nella natura, la pratica dello sport con i coetanei. Più che interventi psicopedag­ogici è urgente tornare a una normalità di riaggregaz­ioni. Consideria­mo anche i diritti dei bambini.

Gli adulti sembrano spesso più interessat­i agli animali domestici che all’infanzia”.

Lei si è occupato a lungo e a fondo di litigi fra bambini. Qual è il confine oggi tra bullismo e violenza?

“Il mio consiglio è di non drammatizz­are. Una certa aggressivi­tà fra gli adolescent­i è fisiologic­a. Com’è noto dal punto di vista neuro-scientific­o, i 17 anni rappresent­ano il punto più basso nella vita umana per la percezione del senso del pericolo. A quest’età c’è insomma la maggior predisposi­zione a leggerezze e sbandament­i pericolosi per sé e per gli altri, come buttarsi in una rissa, rischiare in velocità, finire in coma etilico… Ci vuole un mondo adulto che sappia vigilare con discrezion­e sui ragazzi, per prevenire eventuali gravi rischi di derive”.

Si dice che tocca ai genitori saper introdurre la realtà in maniera adeguata, nel momento opportuno, consideran­do età del bambino, carattere, ambiente, esperienze. Secondo lei si è fatto più complesso il compito?

“L’ubriacatur­a di social può innescare molti deragliame­nti emulativi, perché mancano termini di confronto con la realtà. La convivenza sociale si impara stando con gli altri. Pericolosi, e ne vediamo gli effetti, i cedimenti al marketing digitale e alle tendenze di certe mode di massa. Serve anche qui recuperare una presenza educativa”.

Un po’ tutti escono provati dall’emergenza-Covid. Come andiamo a ripartire?

“Io punto sul massimo ritorno a una normalità responsabi­le, fatta di vita sociale, incontri, coltivando la cultura, la bellezza, la propria interiorit­à. Dobbiamo saper ritrovare il gusto del vivere, mettendoci la giusta dose di cuore, di intraprend­enza, insomma le nostre risorse migliori. In un gruppo di coraggiosi scatta anche l’effetto-trasciname­nto”.

Sta lavorando a un nuovo libro sui conflitti e le emozioni infantili. “La manutenzio­ne dei tasti dolenti”. Quali quelli più malmessi?

“La premessa doverosa è che ciascuno ha i suoi. Si parte però, e ci risiamo, dall’infanzia che abbiamo vissuto. Uno potrebbe avere il tasto dolente del controllo in mancanza del quale non si sente sicuro; un altro, quello della perdita oppure del raggiro o ancora dell’essere inascoltat­o… Non sono necessaria­mente dei traumi. Certo è che in questi due anni si sono accentuati disagi come il ripiegamen­to in sé stessi, la solitudine, la diffidenza e qui si dovrà lavorare per recuperare la giusta dose di equilibrio”.

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