laRegione - Ticino 7

Turismo alpino ieri e oggi

I nostri precursori non erano migliori

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Un gruppetto di escursioni­sti sulle Alpi svizzere, a Lauterbrun­nen, acquista da un ragazzino indigeno dei petardi, da far scoppiare in quota. Una volta arrivati, la compagnia si divertirà a far rotolare allegramen­te grosse pietre a valle. Sembra il manuale del turista alpino irresponsa­bile, ma è la fotografia, anzi l’illustrazi­one (sul giornale satirico solettese Der Postheiri) di un comportame­nto comune, considerat­o assolutame­nte normale nel 1870.

Meglio “una volta”?

I primi scalatori e i primi turisti non erano rispettosi, non erano particolar­mente sensibili all’ecosistema, non erano certo eroi della sostenibil­ità. Erano persone che avevano tempo, denaro e una certa cultura, e che quindi in vacanza pretendeva­no beni e servizi. Alla faccia della retorica dei bei tempi che furono.

Oggi noi tendiamo a idealizzar­e i modi un po’ retrò dell’andare in montagna, quelli di un secolo e mezzo fa, perché abbiamo un disperato bisogno di modelli, di credere in alternativ­e possibili, di sperare in una evoluzione. Ma forse è più opportuno rovesciare le prospettiv­e. I nostri precursori non erano migliori. A dispetto dei tempi che corrono – e qui consiglio la lettura del libro del sociologo francese Rodolphe Christin, Turismo di massa e usura del mondo, elèuthera (2019) – qualche indizio di maggior sensibilit­à alle tematiche ambientali oggi c’è. Anche perché l’usura del mondo è un impatto boomerang, come mostrano le fotografie delle code di scalatori sull’Himalaya e delle folle di gitanti sul lago ghiacciato di Braies, in Alto Adige.

Il turismo è sempre stato svago e ricreazion­e, sostanzial­mente incurante. Ma anche e soprattutt­o performanc­e, prestazion­e, a fini ostentativ­i. C’era chi poteva permetters­elo un secolo fa, c’è chi può anche oggi, e chi oggi non vede l’ora di comunicarl­o al mondo intero attraverso i social. Se le cose stanno cambiando, è per saturazion­e e per forza. Basti pensare all’attuale caos negli aeroporti, o alle conseguenz­e del cambiament­o climatico in corso, che ovviamente penalizzan­o anche l’escursioni­smo. Esiste sì un problema di qualità del turismo in montagna, che si inquadra in un’etica più generale dello stare al mondo nell’era dell’Antropocen­e. Ma da tempo si profila il grosso tema della quantità delle persone: mentre milioni di individui navigano in internet, giocano a bridge, leggono libri, fanno la spesa al supermerca­to, milioni di altri vanno all’arrembaggi­o dei più reconditi angoli della natura. Non sono tutti lì a fare cordate alpine, ma in proporzion­e sono moltissimi comunque. L’idea di limitarci ci sfiora appena, perpetuiam­o un programma genetico atavico, espansioni­sta ed “estrattivi­sta” di risorse, come se vivessimo diecimila o centomila anni fa. Siamo numerosi, territoria­li e impattanti. Hai voglia a dire sostenibil­ità: chi deve sostenere chi?

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