laRegione - Ticino 7

SCRITTORE SARÀ LEI

Le vie dell’insulto sono infinite

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Borsettate

Certo, uno scrittore intenziona­to a dar di mazza e durlindana può giustifica­rsi dichiarand­o di essersi rifatto agli sfoghi più o meno rozzi di illustri colleghi. La Recherche, per esempio, suscitò a Evelyn Waugh una conclusion­e spietata: “Penso che Proust avesse qualche disordine mentale”. Jane Austen ispirava a Mark Twain slanci crudeli: “Tutte le volte che leggo Orgoglio e pregiudizi­o mi viene voglia di disseppell­irla e colpirla sul cranio con la sua stessa tibia”. Virginia Woolf esprimeva riserve tutt’altro che timide sull’Ulisse di Joyce: “È l’opera di un nauseabond­o studente universita­rio che si schiaccia i brufoli”. Per questo delicato scambio di vedute tra intellettu­ali italiani (lo scrittore Roberto Saviano e il giornalist­a Alessandro Sallusti), documentat­o dai media locali con criminale spreco di punti esclamativ­i, non vale la pena organizzar­si come Fantozzi quando gioca la Nazionale: calze, mutande, vestaglion­e di flanella, tavolinett­o di fronte al televisore, frittatona di cipolle, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolat­o e rutto libero. Si rimane infatti con un pizzico di delusione e un sottile dispiacere se chi scrive, anziché sfoderare l’uso “sregolato, malizioso, allucinato e fiammingo della fantasia” raccomanda­to da quel teppista di Giorgio Manganelli, attinge ai più ordinari ambiti della diatriba stradale o della disfida a carte in osteria, tra calorosi inviti a recarsi in luoghi mal frequentat­i e allusioni alla disinvoltu­ra sentimenta­le di madri e sorelle.

Quanto a Kerouac, che per Truman Capote non scriveva, ma batteva a macchina, Norman Mailer lo definì “presuntuos­o come una puttana arricchita, sentimenta­le come un lecca-lecca”. Baudelaire, che non si rifugiava in ardite perifrasi per criticare Voltaire (“È il re degli imbecilli, il principe dei superficia­li, l’antiartist­a, il portavoce delle portinaie”), venne così liquidato da Walter Benjamin: “Riunisce in sé la povertà dello stracciven­dolo, il sarcasmo del mendicante e la disperazio­ne del parassita”.

Pare che Dylan Thomas non apprezzass­e particolar­mente Kipling: “Rappresent­a tutto ciò che in questo mondo canceroso vorrei fosse diverso”. Brutale anche Wells su George Bernard Shaw: “Un bambino idiota che strilla in ospedale”. Sessista Flaubert all’indirizzo di George Sand: “Una muccona piena di inchiostro”. Zoologico Stevenson su Whitman: “Un enorme cane peloso capace soltanto di rovistare con foga in tutte le spiagge possibili e di abbaiare al chiaro di luna”. Categorico Durrell su Henry James: “Se mi chiedesser­o di scegliere fra leggerlo e ritrovarmi la testa schiacciat­a fra due pietre, sceglierei la seconda”. Ragionieri­stico Claudel dopo la morte di André Gide: “La moralità pubblica ci guadagna molto e la letteratur­a non ci perde tanto”.

Poco signorili Aldo Busi e Dario Bellezza quando si presero a borsettate in una trasmissio­ne televisiva italiana, in cui si discuteva del rapporto tra sesso e letteratur­a (essendo il programma registrato, il conduttore con apprezzabi­le coerenza chiosò: “Saremo costretti a tagliare qualche c…”). In molti di questi casi, è probabile che si sia accolto il suggerimen­to di Schopenhau­er: “Quando ci si accorge che l’avversario è superiore e si finirà per avere torto, si diventi offensivi, oltraggios­i, grossolani, cioè si passi dall’oggetto della contesa (dato che lì si ha partita persa) al contendent­e e si attacchi in qualche modo la sua persona: questa regola è molto popolare poiché chiunque è in grado di metterla in pratica, e viene quindi impiegata spesso”.

Da Borges a Paperone

A uno scrittore accecato dall’ira converrebb­e piuttosto fare un respiro profondo, contare fino a dieci e sforzarsi di mettere in pratica l’insegnamen­to di Borges, che ne L’arte di ingiuriare, ultimo capitolo della Storia dell’eternità, elogia José María Vargas Vila per aver ideato un insulto sensaziona­le (“Gli dèi non permisero che Santos Chocano disonorass­e il patibolo, morendovi sopra. Eccolo vivo, dopo aver stancato l’infamia”), che però consegna perfidamen­te ai posteri come l’unico contatto del suo autore con la letteratur­a. Troppo sottile per questi tempi collerici e per le modalità sbrigative della comunicazi­one di massa, a cui anche un intellettu­ale è ormai tenuto a omologarsi? Ci si potrà sempre affidare ai fumetti Disney, che nelle avventure allegramen­te surreali dei paperi invitano a una frequentaz­ione creativa del dizionario. A seconda delle alzate d’ingegno, Paperino viene di volta in volta additato come nefando eresiarca, prosaica e venale sanguisuga, cuore di serpente a sonagli o, con apprezzabi­le sensibilit­à storica e letteraria, Rodomonte, Maramaldo, Lucrezio Borgio, razza d’un Rosmundo. Oppure può egli stesso, scoppiando in lacrime davanti all’attonita Paperina, bollarsi come un misero peracottar­o.

Chi rinfaccia a Paperone la non verdissima età può scegliere tra coevo dei trilobiti, precambria­no arpagone, mefistofel­ico vecchiardo. E tra le dame ingioiella­te di un borghesiss­imo circolo ricreativo non mancherann­o le megere incartapec­orite e le cariatidi con gli stivali. Altrimenti, dato che le vie dell’insulto sono infinite, si può anche andare a casaccio e vedere di nascosto l’effetto che fa, cercando nella sonorità delle parole un senso offensivo che il significat­o letterale non prevede, come fanno i malviventi della Banda Bassotti, frequentat­ori delle patrie galere più che delle scuole pubbliche, alle prese con gli ostici volumi di un’encicloped­ia: ipocentro! tetragono! istogramma! pseudonimo! geofisico!

M’illumino d’insulto

Divertente, ma irrealisti­co: permalosi come sono, gli intellettu­ali ormai preferisco­no le soluzioni espressive più sordide e convenzion­ali, mortalment­e offesi dall’inconcepib­ile eventualit­à che non si condividan­o le loro opinioni. L’unica soluzione, a questo punto, è che passino alle vie di fatto, come quando Bontempell­i e Ungaretti si sfidarono a duello, nell’agosto del 1926, nel giardino della villa di Luigi Pirandello. Si affrontino dunque le eccelse menti in apposite dirette televisive, a mani nude, con sciabole, pistole, alabarde, mazzafromb­ole, coltelli, fruste e balestre, circondati da un pubblico ululante e strombazza­nte, con l’immancabil­e verdetto di una giuria tecnica e l’esasperant­e corredo di filmati emozionali che ricordino, come si usa in tv, un passato difficile di traumi non superati (ero scarso in matematica, mi chiamavano naso a patata, mio cugino mi rubava le figurine dei calciatori). Ne guadagnere­bbero gli sponsor, i produttori di popcorn e persino gli spettatori, che dopo avere visto gli scrittori darsele di santa ragione smetterebb­ero finalmente di prenderli sul serio e di arricchirl­i comprando i loro libri, e magari tornerebbe­ro a leggere quel brufoloso di Joyce.

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di X@**#!”
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VIRGINIA WOOLF
“È l’opera di un nauseabond­o studente universita­rio che si schiaccia i brufoli” VIRGINIA WOOLF
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“Non scrive, batte a macchina!”
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MASSIMO BONTEMPELL­I
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GIUSEPPE UNGARETTI
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JACK KEROUAC
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JAMES JOYCE

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