laRegione - Ticino 7

Maestro Cesare

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Cesare fa il cacciatore. E il maestro. Non gli piace urlare. Prende solo la carne che gli serve. Se la sua famiglia mangia due cervi, lui prende due cervi. Preserva il suo bosco e si rigenera nel silenzio. In classe combina dolcezza, ritmo e presenza totale. A fine pomeriggio, dopo aver lavorato con i bambini, va a correre, per buttare fuori la giornata, poi torna da suo figlio Tito e dalla sua compagna Giulia. Si chiama Cesare Veglio, è cresciuto ad Acquarossa e come tutti noi cerca di stare in equilibrio.

Gli hanno chiesto se quest’anno voleva dedicarsi a una classe particolar­e, una Usd, Unità scolastica differenzi­ata, con bambini della Valle di Blenio e dintorni che vivono un momento di fragilità. Ha accettato. Però sa che tra un anno, massimo due, deve portarli a poter tornare ognuno nella propria classe, con i compagni della stessa età.

Cesare Veglio ha scoperto che gli piaceva lavorare come maestro quando ha iniziato il Dfa. «Mi piace vedere i bambini che imparano. Prima non sanno né scrivere, né leggere, né immaginare un paese; nessuno ha la ricetta magica di come portarli a salire quel gradino, ma ci proviamo; poi di colpo loro fanno quel salto e noi di nuovo non sappiamo se il nostro lavoro è stato utile o se avrebbero comunque imparato, anche senza tutte le nostre strategie. È una specie di meraviglia. Mi piace essere partecipe di quel gradino, in un modo o nell’altro».

Cesare ha poco più di 30 anni, ha cominciato a lavorare nel 2012 alle scuole elementari di Acquarossa, poi è stato chiamato a Olivone e ora è tornato al paese d’origine. Gli avevano detto: Mai troppo vicino a casa, che si conoscono tutti! Ma Cesare ha provato e ha deciso che andava bene.

Ha già lavorato con alcune classi problemati­che e, lui dice, di allievi ne ha tartassati parecchi. Ma questi adesso fanno le Medie e tornano a trovarlo, quindi tanto terribile non deve essere stato. Ma come si fa? «Non tutti hanno bisogno dello stesso metodo: alcuni bambini hanno bisogno di sentirsi dire ‘basta’ , con altri non puoi nemmeno alzare la voce perché gli verrebbe un magone che puoi buttare via la giornata. Bisogna conoscerli e, piano piano, capire come comportars­i».

I suoi segreti

Cesare ha dei principi: prima di tutto l’equità. Riprendere tutti allo stesso modo, se uno l’ha combinata grossa per la prima volta oppure se è la ventesima. Questo per lui è essere equo.

Il secondo segreto è non prendere mai niente sul personale. Può ricevere male parole e provocazio­ni, ma poi quando tornano lucidi i suoi allievi vanno ad abbracciar­lo. «Non ce l’hanno con me, mi ripeto. Ci sono situazioni difficili e se ci fossimo dentro anche noi avremmo una grande rabbia e avremmo solo voglia di spaccare qualcosa. Come maestro, mi do due minuti per arrabbiarm­i, poi volto pagina. Si riparte a costruire insieme». Terzo, le cento volte: «Io da piccolo mi ricordo di aver capito cose che mi avevano già spiegato, ma che capivo solo quando me le dicevano in un altro modo. Perciò provo e riprovo, rigirando i concetti. Penso ci sia sempre la possibilit­à di dire diversamen­te, di trovare una porta aperta da qualche parte; quando non funziona, l’unica è riprovare, cambiare strategia, non perdersi mai d’animo». Insomma, il suo motto è: se un bambino non capisce, è il maestro che non sa farsi capire. «Con i bambini, ripeto cento volte, con gli adulti un po’ meno: ho altro da fare».

I bambini più difficili

Con loro non si grida quasi mai, perché sono bambini fin troppo abituati a qualcuno che li sgrida. Non ne combinano mai una giusta e quindi sono attorniati da adulti che gli fanno la ramanzina. La quale entra di qua ed esce di là, lo sappiamo. Allora bisogna sperimenta­re una cosa nuova: sedersi al loro fianco e ragionare. Con calma.

«A inizio anno i miei cinque non potevano nemmeno stare tutti nella stessa aula, adesso invece lavoriamo quasi come una classe regolare». Il lavoro è difficile e richiede pazienza, ma qualcuno, secondo Cesare, deve credere in loro e fare il possibile, poi i risultati, in genere, si vedono.

La caccia

«Andavo a caccia con mio nonno e mio zio, in montagna, poi ho cominciato anche io. Vado con mio fratello o a volte anche da solo, mi piace. Caccio solo quello che mangeremo durante l’anno. Non voglio avere un impatto sulla natura, voglio mantenerla adeguandom­i a lei. Se non prendo niente mi basta aver passato due giorni all’aria aperta». L’andare a caccia, dice, gli fa tirare il fiato. Conosce i selvatici, va nel ‘suo’ pezzetto di bosco, come quasi tutti in Valle. «Non sparo alle cerve o alle capriole con i piccoli, ognuno ha interesse a che la propria zona sia sempre popolata. Quindi prendiamo qualche maschio, perché se diventano troppi danneggian­o la vegetazion­e: è come mantenere un equilibrio».

Ora che c’è Tito

Tito è nato un anno fa. «All’inizio stava sempre con la mamma, io servivo a poco. Adesso invece interagisc­e di più con me, e questo mi rende felice. Vorrei diventare un suo compagno più che un suo maestro. Penso: io gli mostro quello che mi piace della vita e se vorrà faremo tante cose insieme. E quando anche lui avrà i suoi interessi, se mi inviterà sarò io a seguirlo e sono sicuro che mi farà scoprire aspetti del mondo che non conosco». Cesare gli mostrerà le piante, gli uccelli, la neve fresca. Tito chi lo sa a cosa si appassione­rà, è un bambino fortunato con una pagina ancora bianca davanti. «Per ora», dice Cesare, «mi ha già insegnato che esiste un amore diverso da tutti gli altri».

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DI SARA ROSSI GUIDICELLI, FOTO @ GIULIA CROCETTI sabato 4 febbraio 2023
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