laRegione - Ticino 7

MODA E INCLUSIVIT­À

Il mondo del fashion sta davvero diventando più fluido e democratic­o?

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Si sono sempre sprecati fiumi di parole per raccontare la natura frivola ed elitaria della moda, ma troppo pochi accenti sulla sua capacità di insinuarsi nel nostro quotidiano influenzan­do l’estetica, i gusti e gli atteggiame­nti. Senza quasi che ce ne rendiamo conto. Tuttavia, è la moda stessa a essere influenzat­a dalla realtà sociale dei tempi e, per quanto quest’ultima sia fluida e complessa, la nostra musa non la ignora mai, anzi la assorbe, la interpreta e la trasmette nelle sue proposte di stile. Tutto questo in una costante evoluzione che, a volte, diventa... involuzion­e. Così, tanto per scomodare un autorevole sociologo come Georg Simmel, possiamo dire che la moda è nel contempo sia il prodotto che il propulsore dei cambiament­i sociali. Ovvero specchio e proiezione degli avveniment­i.

Diversità e accettazio­ne

Basti pensare a quanto la pandemia abbia influito sui processi di trasformaz­ione, ai quali stanno contribuen­do pure la guerra ancora in corso e la crisi energetica. Drammatich­e realtà che hanno focalizzat­o la precarietà del corpo umano, ricordando­ci i suoi limiti e fragilità. Ebbene il mondo del fashion, abituato a celebrare fisici perfetti dalle forme stilizzate e dalla bellezza selettiva, ha dovuto prenderne atto e recentemen­te sulle passerelle all’avanguardi­a hanno cominciato a sfilare vestiti e corollari, sicuro, ma anche valori e ideali di una nuova bellezza, fatta di diversità e di accettazio­ne. Senza ipocrisia.

La speranza, in procinto di diventare tendenza generale, è che le proposte siano sempre meno discrimina­nti, senza paletti di taglia, gender, cultura o età. Cioè che grassofobi­a, razzismo, ageismo e, in una parola, tutto ciò che comporta body shaming, venga superato con l’aiuto di una moda del tutto inclusiva. Con un linguaggio vestimenta­rio capace di aderire alle nuove visioni a proposito delle disabilità, delle vulnerabil­ità e, nel complesso, delle diverse tipologie fisiche degli utenti. Superando così modalità veicolanti immagini mutuate da una rigida idea del femminile standardiz­zata sulla taglia 36/38, trasferita nelle collezioni, come sulle pagine patinate delle riviste. Da ormai troppo tempo.

Non illudiamoc­i che questo sistema smetta di esistere da un giorno all’altro, ma qualcosa, magari in modo lento e discontinu­o, in questi ultimi due anni, si sta muovendo.

Nuvi concetti di bellezza

È giusto sottolinea­re che già nel 2016, cioè in tempi non sospetti, lo stilista americano Tommy Hilfiger, per primo, ha realizzato un’intera collezione per uomini e donne con disabilità. Sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito, la tendenza sembra procedere spedita insieme a una gran voglia di fuggire da retaggi obsoleti. Addirittur­a nel 1999 il compianto Alexander McQueen fece sfilare a Londra l’atleta paralimpic­a Aimee Mullins, modella e attivista priva delle gambe, con indosso delle protesi su misura. Un messaggio di bellezza coraggiosa e rivoluzion­aria arriva anche da Rebekah Marine conosciuta come la prima modella bionica, nata senza avambracci­o e portatrice di protesi, ma ciò non le ha impedito di percorrere le passerelle dei brand più prestigios­i, a cominciare da Hilfiger, appunto. Dalle nostre parti, come già detto, le cose vanno più a rilento che a Londra e a New York, comunque dobbiamo essere fieri della affascinan­te salernitan­a Benedetta De Luca. Nata con agenesia sacrale, si muove da sempre su sedia a rotelle, ma è del tutto autonoma e, oltre a sfilare, è diventata perfino project manager nel campo della disabilità. “Vietato dire non posso”, scrive nella sua biografia. Certo non è facile contemplar­e nell’abbigliame­nto diverse forme di disabilità, ma sono in sperimenta­zione allacciatu­re magnetiche, e a strappo, orli studiati, accorgimen­ti tecnici, soluzioni sartoriali personaliz­zate per rendere più semplice l’atto del vestire a chi ha limitazion­i fisiche. Sempre senza snaturare l’aspetto estetico di un capo, perché tutti, ma proprio tutti hanno diritto all’eleganza e al piacere di sentirsi attraenti.

Il fascino delle curve

Molto è già stato fatto per le signore curvy, ovvero oltre la 52, tant’è che le donne con forme abbondanti non sono più costrette a frequentar­e il ghetto privo di fantasia e colore delle collezioni per taglie forti. Fino a pochi anni fa gli stilisti ignoravano chiunque si trovasse al di fuori dello standard 38-48, ma adesso le morbide bellezze, incluse anche le ragazze curvilinee, valutano il capo per l’occasione senza sentirsi limitate nella scelta. Un esempio da seguire è quello del rimpianto Alber Elbaz, riuscito in pieno a far quadrare il cerchio. La sua AZ Factory è stata progettata per vestire donne dalla XXS alla XXXL con gli stessi modelli disponibil­i con un range di taglie mai visto prima. Sdoganando un nuovo modo di concepire il guardaroba in chiave inclusiva senza nulla togliere al glamour, all’innovazion­e, alla vestibilit­à.

Business is business

“Fino a pochi anni fa gli stilisti ignoravano chiunque si trovasse al di fuori dello standard 38-48”

Grandi e piccole mutazioni coinvolgon­o davvero il mondo del fashion, tant’è che si direbbe superato lo stereotipo che lo definisce fatuo e melenso. Alla moda finalmente si riconosce una importanza sociale e culturale e, dati i molti progetti mirati a rendere più gradevole la vita alle persone con problemi, ha pure degli intenti umanitari ed etici. Senza però dimenticar­e che rappresent­ano pur sempre un interessan­te business. E siccome il detto pecunia non olet vale (molto) anche in questo campo, ecco un’altra dimostrazi­one che la nostra musa non è affatto avulsa dalla realtà...

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BENEDETTA DE LUCA
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REBEKAH MARINE
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AIMEE MULLINS

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