laRegione - Ticino 7

Benvenuti a Küstendorf

Io Kusturica in giro non l’ho visto, ma pare che ci viva davvero

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“Plata o Plomo”. C’è scritto proprio così all’ultimo incrocio prima di arrivare a destinazio­ne in un posto che è esistito in un film prima di esistere davvero.

Ma non sono in Colombia.

Mi fermo. Dall’altro lato della strada c’è una coppia di vecchietti male in arnese che fa continuame­nte – e lentissima­mente – dentro e fuori da una casa che sembra una stalla.

Dove dovrebbe esserci un marciapied­e che non c’è, i due espongono tutta la mercanzia pro-Russia che hanno trovato: magneti, bandiere e magliette con la Z e la faccia di Putin.

Ma non sono in Russia.

Sono a Kremna, in Serbia, a pochi chilometri dal confine con la Bosnia, in un paesino famoso nell’ex Jugoslavia per essere il luogo in cui due analfabeti si rivelarono indovini infallibil­i su tutti i fatti del XX secolo. Talmente infallibil­i che il primo, Milos Tarabic, fu imprigiona­to per aver predetto fatti spiacevoli al re di Serbia. Per liberarlo, il re pretese che indovinass­e il sesso del puledro della sua giumenta che stava per partorire in cortile. Tarabic disse: “Signore, la vostra cavalla ha nella pancia una puledra con la zampa posteriore destra troppo corta”. La puledra era una puledra e la zampa era davvero troppo corta. Tarabic fu liberato a patto che non prevedesse più nulla. E sì, sembra un film di Emir Kusturica, oppure un aneddoto bislacco che fa venire voglia a un aspirante regista dei Balcani di raccontare storie così.

Ora non sappiamo se nacque prima la puledra zoppa o il realismo magico dei Balcani. Quello che sappiamo è che a una dozzina di minuti di auto da Kremna, ora, c’è un posto che all’inizio di questo millennio non aveva un nome – perché a un pezzo di terra in mezzo alle montagne un nome non serve – e ora ne ha tre: Mecavnik, Drvengrad e Küstendorf.

Megalomani­a?

Dentro a uno di quei nomi, Küstendorf, come fosse un rebus, c’è il nome di chi il villaggio l’ha prima creato e poi deciso di non buttarlo giù quando avrebbe potuto non servire più: “dorf”, dal tedesco, vuol dire proprio “villaggio”, “Küst” sono le prime lettere del cognome di Kusturica. E quindi, “il villaggio di Kusturica”. Megalomani­a? Anche, senz’altro, basta conoscerlo un po’. Ma non solo. Il regista spiegò molto bene perché un villaggio immaginari­o, quello del suo film “La vita è un miracolo”, è sopravviss­uto al suo scopo originario diventando un luogo reale: “Durante la guerra ho perso la mia città, Sarajevo. È per questo che ho voluto costruire il mio villaggio. Porta un nome tedesco: Küstendorf. Là organizzer­ò seminari per le persone che vogliono imparare a fare cinema, concerti, ceramiche, dipingere. È dove vivrò e dove qualcuno potrà venire di tanto in tanto. Ci saranno, naturalmen­te, altri abitanti che lavorerann­o là. Sogno un luogo aperto con una diversità culturale che lotti contro la globalizza­zione”. E così è stato. Oggi c’è il villaggio, ci sono i festival, i concerti, i laboratori e, soprattutt­o, una promessa mantenuta.

Io Kusturica in giro non l’ho visto, ma pare che ci viva davvero – per la maggior parte del tempo – in una di quelle grandi case di legno protette da una recinzione aggiuntiva, sebbene facilmente scavalcabi­le. Per vedere il villaggio (e anche Kusturica, se ci tieni e se c’è) devi tirare fuori all’ingresso 200 dinari, meno di due franchi. Entri e sei in via Ivo Andric, il premio Nobel che ha fissato per sempre i confini emozionali dei Balcani con il romanzo “Il ponte sulla Drina”. Andric è uno dei miti di Kusturica, e i nomi delle vie sono stati dati tutti con questo criterio: c’è via Che Guevara, via Federico Fellini, via Novak Djokovic, via Bruce Lee e via Ingmar Bergman. Ci sono anche quattro piazze, due dedicate a registi russi (Nikita Mikhalkov e Andrei Tarkovsky), una all’iraniano Abbas Kiarostami, l’altra a Diego Armando Maradona. Il ristorante si chiama Visconti, il cinema Stanley Kubrick, l’anfiteatro Gavrilo Princip (sì proprio l’uomo che uccise a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, con quello che è il primo sparo della Prima guerra mondiale).

Tra realtà e finzione

Camminare per Drvengrad è straniante, soprattutt­o di prima mattina, quando i turisti sono pochi e sembra davvero di poter curiosare in un villaggio addormenta­to tra realtà e finzione. Ci sono vecchie auto dell’epoca di Tito parcheggia­te per strada, la piccola chiesa ortodossa in cui si prega per davvero, la pasticceri­a che sforna biscotti caldi e il ristorante che si mette in moto in vista del pranzo. Tutt’intorno è verde, quel verde intenso tipico dei luoghi che l’uomo l’hanno incrociato poco. Eppure anche da lì è passata la guerra, con i suoi uomini appresso. Chi vuole, oggi, può fermarsi a dormire, chi vuole esagerare può fermarsi a viverci, se ha voglia di lavorare oppure di affittare una delle grandi case in legno appena fuori dal villaggio.

C’è un murale con la paganissim­a trinità Fidel Castro-Che Guevara-Maradona, un mercato dove le contadine del posto vendono miele, formaggio, c’è un asilo, un negozio di souvenir pacchiano come te l’aspetti e ci sono in giro un paio di tizi che ti chiedi se non se li siano dimenticat­i lì, una ventina d’anni fa, quando hanno finito di girare il film.

“Megalomani­a? Anche, senz’altro, basta conoscerlo un po’. Ma non solo”

Man mano che la gente arriva, e che il parcheggio davanti si riempie fino ad avere bisogno di un ragazzino che s’improvvisa vigile urbano, il paesello bucolico diventa attrazione e quel che guadagna in vita lo perde in fascino.

Nel bar dell’hotel i ragazzi al bancone hanno voglia di parlare tra loro più che di servire i clienti, e alla fine si ciondola finché qualcuno non decide che sì, forse un caffè si può anche preparare. I ritmi sono lenti, magari sono così o lo fanno apposta. O glielo dice Kusturica. Alcuni clienti si spazientis­cono, altri si godono il panorama, io sbircio i muri del locale, che sono tutti indizi – solo un po’ più nascosti dei nomi delle vie – di ciò che ha ispirato il papà di questo villaggio apparentem­ente insensato, che ti lascia con piu domande che risposte. Come un buon film.

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