Siena e dintorni: un’ammaliante armonia
Tappa 5 Il viaggio nei borghi medievali, che da Assisi ci condurrà fino a Bruges, attraversa il paesaggio mozzafiato della Val d'Orcia e fa tappa in una delle meraviglie medievali: la storica (e fiera) antagonista di Firenze.
Pienza-Siena
Far girare le gambe in sincronia con il cervello e tenere gli occhi spalancati. Ci immergiamo nei paesaggi dolci e aspri della Val d’Orcia, un territorio unico al mondo, fonte di ispirazione di poeti, scrittori e cineasti. E pure teatro di una delle corse ciclistiche più spettacolari in assoluto: “Le strade bianche”. L’eccitazione è forte: vogliamo arrivare in Piazza del Campo a Siena, proprio come la famosa corsa dei professionisti pedalando tra cucuzzoli punteggiati di cipressi e casolari isolati. Da dove passiamo?
“Se vuole fare una delle più belle strade al mondo, segua il crinale delle Crete Senesi”, ci incoraggia Michele Martini, mentre sorseggiamo un caffè nel suo Bar della Posta a Pienza. Le Crete sono il risultato di millenari sedimenti oceanici che conferiscono alla vasta regione a sud di Siena un aspetto quasi lunare. Uno spettacolo da non mancare. Il navigatore posto sul manubrio, indica che, prima di raggiungere il punto più panoramico delle Crete, pedaleremo per una cinquantina di chilometri su strade asfaltate. Noi vogliamo avventurarci sulle strade bianche sterrate, quindi rinunciamo alle Crete Senesi. Scendiamo da Pienza e andiamo verso San Quirico d’Orcia: dopo 5 km di strada statale, una deviazione a sinistra ci porta sul primo tratto sterrato: in totale pedaleremo per 34 km su queste carreggiate bianche. Entriamo a San Quirico d’Orcia: un’occhiata alla Collegiata, poi puntiamo su Torrenieri (km 23), dove incroceremo il percorso della gara ciclistica dei professionisti ma anche quello dell’altrettanto famosa “Eroica” (aperta a tutti ma rigorosamente in stile vintage). È la giornata delle strade bianche ma anche quella dei pici, sorta di spaghettoni fatti a mano con solo acqua e farina, pochissimo olio e sale, conditi in modo diverso da regione a regione. Siamo ansiosi di assaggiare quelli di Buonconvento (km 32). Li troviamo da Mario, nel centro storico, cacio e pepe. Va benissimo, grazie, sono nutrienti e leggeri. A Montepulciano li avevamo gustati con sugo di anatra e pane tostato, chissà come saranno i prossimi. Di sicuro sappiamo come sono i prossimi strappi sterrati: ripidi e controvento, come quello tra i cipressi dell’iconico podere Belvedere (km 57) raffigurato su tutte le immagini e i poster della Val d’Orcia. Sembra di essere in un film (qui sono state girate alcune scene de “Il gladiatore”). Anche l’inseguimento rabbioso di un cane sbucato dal podere ma sfiancato con un’accelerazione da Tour de France, ha qualcosa di drammaturgico. Intanto da sud ci appare il profilo di Siena con la Torre del Mangia e il campanile del Duomo sfumati dai colori del tramonto: da cartolina postale! Lasciamo le strade bianche e ci immettiamo nella trafficatissima via Cassia, mancano 7 km a Piazza del Campo. Quando sbuchiamo in una delle piazze più belle al mondo la fatica svanisce ma si materializza la legge:
“Alt, qui sono vietate le biciclette” bisogna spingerle a mano”, ci intimano due vigili urbani. “Quindi è peggio che a Lugano?” ci interroghiamo. Il provvedimento è stato introdotto in seguito alla eccezionale popolarità delle due corse ciclistiche, Strade bianche ed Eroica, che fanno confluire nella celebre piazza migliaia di ciclisti provenienti dal mondo intero. Ci adeguiamo.
Siena: una meraviglia (un po') trecentesca
Tra i tanti capolavori di Siena ve n’è uno che sovrasta tutti gli altri: la città stessa. Entriamo dalla Porta Romana con le sue feritoie, il tetto merlato e attraverso le viuzze, i vicoli, tra case popolari ed eleganti edifici ornati di trifore, ci fiondiamo senza porre tempo in mezzo verso quella grande valva di conchiglia urbana che è la Piazza del Campo. Il pavimento a mattoni disposti a spina di pesce è suddiviso da fasce in pietra bianca che formano nove spicchi a ricordare, pare, il virtuoso Governo dei Nove, il cosiddetto buon governo che a cavallo del Trecento garantì alla città il suo momento di massimo splendore. La sua storia è narrata nell’omonimo celebre affresco di Ambrogio Lorenzetti, imprescindibile per gli appassionati del Medioevo. Da visitare nel Palazzo pubblico, lo spettacolare edificio gotico che accanto alla Torre del Mangia svetta sulla piazza. Sarebbe eccessivo attribuirle il primato assoluto di bellezza architettonica? Forse… però a noi pare la piazza più bella del mondo. L’opera venne iniziata nel XII secolo, mentre il Palazzo pubblico (sede del potere medievale e oggi delle autorità comunali) – salvo alcune sopraelevazioni seicentesche – fu ultimato nel 1310. E la celeberrima Torre del Mangia? Venne edificata qualche anno più tardi e appare smisurata, troppo alta, slanciata e fragile con i suoi quasi 90 metri (la seconda più alta d’Italia). Eppure, forte di restauri successivi, rimase in piedi, intatta, anche nel violento terremoto di fine ’700. Il suo singolare nome è legato a uno dei campanari, tale Giovanni di Balduccio, noto perché sperperava nel cibo tutti i suoi guadagni. Le campane a quell’epoca dettavano le ore della giornata: la prima all’alba, la terza verso le nove, la sesta a mezzogiorno ecc… Ma a fine ’300 cominciarono a essere diffusi i primi orologi meccanici così da rendere superfluo il buon campanaro. La Piazza del Campo, vero cuore della città, è naturalmente legata a una delle più note tradizioni medievali al mondo. Due volte all’anno ( il 2 luglio, festa della Madonna di Provenzano, e il 16 agosto, festa dell’Assunzione), cavalli e fantini di dieci contrade (sono diciassette in tutto e gareggiano secondo una precisa turnazione) si sfidano in una rapidissima corsa attorno alla piazza trasformata per l’occasione in una grande arena: tre giri in cui si gioca, di fronte a una folla entusiasta assembrata nel centro o sugli spalti, l’agognato e prestigioso trofeo. Vince il primo cavallo che passa il traguardo, anche “scosso”, cioè senza il fantino caduto a terra. In una precedente visita della città, il medievista Franco Cardini ci aveva raccontato di essere ancora “per un quarto senese”, di non perdersi un’edizione del Palio con i suoi gonfaloni, stendardi, cene propiziatorie. E di essere per discendenza legato a vita alla contrada dell’Oca, rivale in particolare di quella della Torre a cui “augura sempre tutto il male possibile”! Rivalità tradizionale, tra il serio e il faceto, ma molto sentita nelle 17 contrade rimaste (pare che nel ’200 se ne contassero 4 volte di più). La città è divisa in tre terzi (il Terzo della Città, quello di Camollia e quello di San Martino) e ogni terzo è a sua volta suddiviso in contrade dai nomi che richiamano i bestiari del Medioevo: l’Aquila, l’Onda (l’emblema è un delfino con la corona reale), la Tartuca (tartaruga) nel centro più antico della città, il Leocorno (unicorno) eccetera. Contrade concorrenti ma al tempo stesso coese contro il nemico esterno. Che fu in primis costituito dalla grande antagonista Firenze, sconfitta nella celebre battaglia di Montaperti (1260 d.C.) rimasta ficcata nella memoria collettiva anche grazie alla Divina Commedia. La sconfitta dei Guelfi fiorentini ad opera dei Ghibellini senesi è in effetti evocata nel canto VI e X dell’Inferno dantesco, in particolare attraverso la figura di Farinata degli Uberti, il condottiero fiorentino ghibellino che combatté a fianco dei senesi. Siena sembra congelata nel tempo e si dice che a contribuire indirettamente alla sua preservazione fu la terribile peste nera del 1348 che uccise forse i due terzi della popolazione, falcidiando gli abitanti che passarono da 60mila a 20mila. Eppure lo stesso Franco Cardini ci mette in guardia. Certo la Siena che vediamo oggi ha fisionomia e bellezza medievali. Ma, sottolinea scherzoso, più le città ci appaiono medievali, più sono… fake! Una piccola provocazione, per ricordarci che in realtà molto di quanto vediamo rispecchia rifacimenti ulteriori, soprattutto ottocenteschi.