laRegione

Contestata la confisca

Intestatar­io di un conto luganese, chiede l’annullamen­to del verdetto. Il padre condannato in Italia per associazio­ne mafiosa.

- di Andrea Manna

Il figlio di Sebastiano Scuto, l’imprendito­re siciliano condannato per associazio­ne mafiosa, contesta la confisca di soldi depositati in Ticino ordinata dalla Corte penale del Tpf.

La vicenda giudiziari­a degli averi patrimonia­li in Ticino degli Scuto registra un nuovo capitolo. È stata infatti impugnata la decisione con cui il 27 maggio la Corte penale del Tribunale penale federale (Tpf) di Bellinzona ha ordinato la confisca di poco più di 700mila franchi riconducib­ili all’imprendito­re siciliano, già titolare di una rete di supermerca­ti, Sebastiano Scuto, che nel giugno dello scorso anno si è visto confermare dalla Cassazione italiana la condanna per appartenen­za a un’associazio­ne di tipo mafioso, ovvero il clan catanese dei Laudani, inflittagl­i in primo e secondo grado. A contestare il verdetto della Corte penale del Tpf è Salvatore Scuto, figlio di Sebastiano, intestatar­io di un conto bancario a Lugano su cui è depositata parte dei valori patrimonia­li ‘bloccati’ (in ballo c’è pure una polizza assicurati­va). Tramite il proprio legale, l’avvocato Roberto Macconi, si è rivolto alla Corte dei reclami penali, sempre del Tribunale penale federale, chiedendo l’annullamen­to della confisca. I giudici hanno nel frattempo assegnato un termine al Ministero pubblico della Confederaz­ione (Mpc) entro il quale presentare eventuali osservazio­ni. Del dicembre 2014 è infatti il decreto di confisca dell’Mpc. Decreto, emanato nell’ambito di una procedura indipenden­te di confisca avviata alcuni mesi prima, cui il figlio di Sebastiano Scuto si è però opposto. Nell’aprile di quest’anno si è quindi tenuto il dibattimen­to davanti alla Corte penale del Tpf, presieduta dal giudice Giuseppe Muschietti, con gli interventi del titolare della procedura, il sostituto procurator­e federale Raffaello Caccese, e dell’avvocato Macconi. In maggio il verdetto del collegio giudicante, che ha convalidat­o il decreto e disposto così la confisca dei valori confluiti sul conto luganese e sulla polizza assicurati­va stipulata in Ticino. La Corte, si legge fra l’altro nella decisione, “ha raggiunto il convincime­nto” che quei valori “sono stati, per svariati anni, nella facoltà di disporre dell’organizzaz­ione dei Laudani”, quando Sebastiano “partecipav­a alla stessa”. Per svariati anni e cioè, sostengono i giudici federali, dal 1987 al 2010, allorché a Catania è stata emanata la sentenza di primo grado che condannava Sebastiano Scuto a quattro anni e otto mesi di reclusione per associazio­ne mafiosa. La relazione bancaria luganese, intestata al figlio dell’imprendito­re siciliano, è stata aperta nel 1997 e alimentata nei due anni seguenti con quattro versamenti in contanti e un paio di bonifici. Ossia, aveva affermato Caccese nel- l’udienza di aprile, “con beni del padre, beni nelle disponibil­ità del clan mafioso”. Sebastiano disponeva di una procura “con diritto di firma individual­e” che, annota la Corte penale del Tpf, “gli permetteva un accesso diretto e costante ai valori patrimonia­li sul conto”. I beni “su quel conto, mai movimentat­o e mai a disposizio­ne di organizzaz­ioni criminali, sono frutto dell’attività imprendito­riale” di Sebastiano Scuto, aveva obiettato l’avvocato Macconi nel dibattimen­to svoltosi al Tribunale penale federale. Nel reclamo il legale ribadisce pertanto l’origine lecita degli averi patrimonal­i in questione, che a un certo punto sono passati dal padre al figlio. A Salvatore, sul quale oltretutto non pendeva, e non pende, alcun procedimen­to penale, né in Svizzera né in Italia. Macconi sollecita di conseguenz­a la ‘liberazion­e’ dei beni a favore di Salvatore Scuto. Tocca ora alla Corte dei reclami penali del Tpf pronunciar­si.

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TI-PRESS La parola ora a un’altra Corte del Tribunale penale federale, quella dei reclami penali

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