In nome della libertà!
Nei giorni scorsi ero un po’ preoccupato, mi dicevo “c’è qualcosa che non va… cosa succede?”. “Vuoi vedere che Marco Solari, Carlo Chatrian e Marco Timbal non hanno combinato nulla quest’anno?”. Nessuna critica, nessuno scandalo, nessun anatema? Dove sono finiti i censori del Festival, i vari Quadri, Dadò e soloni vari? Gli interpreti della morale pubblica, i difensori dei costumi dei ticinesi, quelli che stanno con la gente… Per fortuna è arrivato Lui, l’integerrimo direttore di giornale, che per la terza volta in pochi anni parla del FILM IMPORTANTE CHE NON PUÒ MANCARE, pena l’attentato alla libertà, il sopruso, l’arbitrio (manca solo la scomunica…). Riassumiamo i fatti: una settimana fa un quotidiano luganese denunciava il caso del cortometraggio ‘Noun’ della regista svizzera Aida Schlaepfer, non accettato nella sezione Pardi di domani, un documentario sulla tragica situazione dei cristiani in Iraq. Alla fine dell’intervista, la giornalista, commentando la risposta della direzione del Festival – la sezione Pardi di domani è riservata a registi alla loro opera prima – si domandava se, dato il “tema di grande importanza e tragicità” non fosse il caso di proiettare lo stesso il film. Il giorno dopo il direttore Chatrian cerca di spiegare il senso della questione: da una parte la regista ha già realizzato un lungometraggio, non poteva dunque essere considerata per una sezione riservata agli esordienti. Ma l’aspetto più importante è un altro, e cito le parole del direttore: “Quando si afferma che un film deve essere mostrato perché così magari suscita un dibattito, si afferma che il film in questione non ha diritto di esistenza autonoma… si afferma che non si crede nel film in questione”. Non solo, ma il direttore entra anche nel merito e fornisce delle motivazioni (sicuramente soggettive, ma è il suo compito scegliere) sulla non inclusione in altri programmi. Parole sacrosante, soprattutto quando si parla di un festival cinematografico, non di un convegno sulle persecuzioni cristiane ieri e oggi. Ma evidentemente questo è un ragionamento troppo semplice, non può essere accettato, e così parte la crociata, Dio lo vuole! Dapprima risponde il direttore e sostiene che, “dopo aver dato un’occhiata a ‘Noun’”, si sta perdendo un’occasione e denuncia l’indifferenza per un colossale e atroce dramma contemporaneo. Due giorni dopo in una lettera aperta il professor Ottavio Lurati chiede che il Festival riveda la sua posizione, a cui segue un articolo di Franco Celio, che pur dichiarandosi non particolarmente interessato al Festival, sostiene che visto il tema, il film “non può essere evacuato (…!), o peggio censurato”, e ricordando che Locarno beneficia di cospicui finanziamenti pubblici, conclude perentoriamente: negare la proiezione di un film, richiesta da spettatori interessati, sarebbe censura! Ieri, infine, ha detto la sua anche Lorenzo Jelmini. Ma la cosa più grave è che nessuno, a parte il direttore Chatrian, parla delle qualità estetiche del film, nessuno – a parte l’occhiata del direttore di quotidiano – ha visto il film in questione, tutti invocano il tema importante, il tema importante, il tema importante… Certo, nessuno nega il dramma delle persecuzioni dei cristiani in Iraq, nessuno nega che sia importante parlarne, denunciarlo, informare, ma stiamo parlando di un festival cinematografico, in cui i film vanno valutati per le loro qualità artistiche, le immagini, la fotografia, e così via. Comunque rassicuriamo i milioni di spettatori interessati, il film di Aida Schlaepfer sarà presentato al “contro festival” organizzato dal Rivellino, la libertà è salva!