Lontani, troppo lontani dal grande Stefan Zweig
“Inerme e impotente, dovetti essere testimone della inconcepibile ricaduta dell’umanità in una barbarie che si riteneva da tempo obliata e che risorgeva invece col suo potente e programmatico dogma dell’anti-umanità”, così scriveva Stefan Zweig, pensando all’Europa che si infilava senza pudore nella Seconda guerra mondiale. Abbiamo ripensato a Zweig (Vienna, 1881 - Petrópolis, 1942) vedendo ‘Stefan Zweig: Farewell to Europe’, ieri in Piazza, che Maria Schrader ha dedicato agli ultimi anni della vita del grande scrittore e pacifista suicidatosi con la seconda moglie, incapace di sopportare quella “barbarie” nazifascista che aveva inquinato il mondo e che stava decimando gli ebrei come lui. Un film che nasce da un’ottima idea: parlare di Zweig, ma che si perde nella banalità di un biopic dove a malapena si scopre la personalità dell’uomo, riducendolo a una caricatura inutile. Questo nonostante l’impegno di un importante gruppo di attori, a cominciare da Josef Hader, e senza trascurare le due mogli, Barbara Sukowa e Aenne Schwarz. Il fatto è che la regista, molto attenta alle ricostruzioni e ai vestiti sempre a posto, perde di vista l’anima di un uomo che, lasciata l’Austria nel 1934, si trovò in esilio nel continente americano fino alla morte. E perde di vista l’autore, la sua profondità, giocando con lui come fosse un pretesto: lo chiarisce il finale del film dove i corpi dei coniugi Zweig vengono intravisti da uno specchio, mentre inutili personaggi agiscono. Una scelta stilistica che serve solo ad allontanare ancora lo spettatore. Peccato, eppure bastava solo leggere qualcosa di suo per comprendere la strada: “Come austriaco, come ebreo, come scrittore, quale umanista e pacifista, mi sono di volta in volta trovato là dove le scosse erano più violente. Esse per tre volte hanno distrutto la mia casa e trasformata la mia esistenza, staccandomi da ogni passato e scagliandomi con la loro drammatica veemenza nel vuoto, in quel ‘dove andrò?’ a me già ben noto. Ma non lo voglio deplorare, giacché appunto il senzapatria ritrova una nuova libertà, e solo chi non è più a nulla legato non ha più bisogno di aver riguardo per nulla”. Migranti di tutto il mondo uniamoci.