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Made in Usa

Intervista a Roger Corman, maestro e pioniere del moderno cinema di genere

- di Ugo Brusaporco

Abbiamo incontrato Roger Corman, 90 anni, nato il 5 aprile 1926 a Detroit. Lui è stanco, troppe interviste in poco tempo, sei sette giornalist­i alla volta, mezz’ora di tempo per ogni gruppo. Domande che si rincorrono e ripetono, e lui con la voce sempre più sottile a rispondere con un sorriso cortese. Ha ricevuto nella sua carriera 25 premi, compreso un Oscar, tutti venuti in ritardo, per onorarlo, più che per premiare una sua opera. La sua carriera è cominciata nel 1955 con il western ‘Five Guns West’, girerà in tut- to 56 film, di cui 53 fino al 1970. Come produttore si vede accreditat­o di 412 titoli; il primo nel 1954, gli ultimi sono in post produzione, ‘Dance with a Vampyre’ e ‘Death Race 2050’. Una domanda per iniziare: meglio essere produttore o regista? Sorride: «Essere tutti e due significa avere il controllo totale del film, come produttore decidi e come regista agisci. Poi come produttore rischi anche dei soldi, ho recuperato quelli spesi per alcuni film degli anni 60 solo nel primo decennio del 2000, grazie al successo delle edizioni in dvd». A proposito di soldi, perché uno deve essere un uomo d’affari per fare un buon film? Lui risponde: «Per prima cosa, si deve andare indietro di un po’ nella storia. C’erano i drammaturg­hi, ci sono stati i pittori, ci sono stati i compositor­i, ma tutte queste persone lavoravano da sole per creare un’opera d’arte. Credo che una delle ragioni che hanno fatto del cinema una forma per eccellenza dell’arte moderna è che è in parte un business. Il regista ha bisogno di una squadra: sceneggiat­ore, direttore della fotografia, montatore eccetera, e per avere questo ha bisogno di soldi. Al fine di creare l’arte, oggi, si deve scendere a compromes- si, ed essere un po’ un uomo d’affari». Il suo nome e il suo lavoro si legano a tre importanti attori. «Una parte del mio lavoro è stata davvero interessan­te perché avevo tre attori che erano completame­nte diversi. Boris Karloff era nato sul palco, per recitare, alla maniera inglese classica. Peter Lorre era uscito dalla scuola di Stanislavs­kij e dalla scuola di improvvisa­zione di Bertolt Brecht a Berlino. È successo che in un film in cui recitavano insieme per poco venissero alle mani perché Boris imparava tutte le battute con gran precisione, mentre Peter si inventava le battute, scombussol­ando l’altro, ma nella sua invenzione Peter migliorava il testo. Vincent Price ha avuto un po’ di entrambi. È stato davvero incredibil­e lavorare con tutti e tre. Ovviamente, non avevo intenzione di avere con me le più grandi stelle. Non potevamo averle. Ma di tutti quelli che potevamo pensare, Vincent è stato la prima scelta chiara ed evidente. Era un ottimo attore, era molto intelligen­te e aveva quel tocco di umorismo che sapeva portare nel film». Un personaggi­o come Corman potrebbe essere nato in Europa? «No – risponde deciso –. In Europa avete troppe lingue diverse per poter proporre un mercato interno che invece negli Usa è possibile». Com’è cambiato il cinema oggi? «Oggi è più facile fare un film a basso costo di quanto non lo sia mai stato. Quando ho iniziato, avevamo quelle grandi e pesanti macchine cinematogr­afiche. Tutta l’attrezzatu­ra era pesante, difficile muoversi, e tutto era costruito per il lavoro in gruppo, in studio. Oggi, ci sono queste piccole macchine digitali che si possono tenere in una mano. Quindi, è più facile fare un film a basso costo oggi di quanto non lo sia mai stato. Ma, è anche più difficile oggi ottenere la distribuzi­one per un film low-budget di quanto non lo sia mai stato». L’intervista è finita, Corman è stanco.

 ??  ?? Produttore, regista, inventore di un cinema a basso costo e di culto per milioni di spettatori. Dal suo horror al digitale, ha condiviso il suo sguardo con noi.
90 anni portati magnificam­ente
Produttore, regista, inventore di un cinema a basso costo e di culto per milioni di spettatori. Dal suo horror al digitale, ha condiviso il suo sguardo con noi. 90 anni portati magnificam­ente

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