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L’italiano, un punto d’incontro

Ieri l’incontro incentrato sul plurilingu­ismo in Svizzera. Ospiti diversi consiglier­i di Stato degli altri cantoni.

- Di Chiara Scapozza

«Il Festival è cultura, cultura e ancora cultura. Ma è pure uno strumento nelle mani del governo: speriamo possa servire a creare la piattaform­a di cui il Ticino ha bisogno». Perché a Locarno in questi giorni maturano discorsi e politiche che vanno al di là della cinematogr­afia. La ‘macchina del Pardo’ porta in Città occasioni di incontro, di confronto, di conoscenza reciproca che anche il presidente Marco Solari invita a voler cogliere. Sue le consideraz­ioni citate in apertura e rivolte ieri agli ospiti del Consiglio di Stato ticinese, per la prima volta promotore di un “evento collateral­e di approfondi­mento e di confronto su un tema di attualità”. Una sorta di «esperiment­o», come l’ha definito il cancellier­e Giampiero Gianella, che può considerar­si riuscito. Almeno nel contare la quarantina di presenti, alti rappresent­anti degli altri governi cantonali ed esperti dell’argomento scelto per la “prima”: ‘L’italianità della Svizzera - Attualità e prospettiv­e’. Dicevamo dell’occasione di incontro e di comprensio­ne reciproca. Eccola, ieri, all’Hotel Belvedere. Difficile infatti dire quanto di nuovo possa portare un evento simile, almeno a livello... concettual­e. Gli ospiti conoscono già le difficoltà cui è confrontat­o l’italiano nel contesto, ad esempio, della scuola dell’obbligo. «Ci battiamo affinché l’offerta dell’italiano come corso opzionale esista e sia effettivam­ente praticabil­e – ha osservato Manuele Bertoli, direttore del Dipartimen­to dell’educazione –. Proporre la lezione alle 17, magari in uno scantinato, non è particolar­mente accattivan­te». E, stando a Renato Martinoni, professore all’Università di San Gallo, l’italiano «ha bisogno di essere attrattivo. Dobbiamo creare motivazion­e negli studenti». Perché di fatto l’italianità «come stile di vita è già entrata nelle abitudini degli svizzeri». Un esempio? «Si vende più gorgonzola che Emmental». Consideran­do quindi «non soltanto l’aspetto linguistic­o, ma l’insieme del fenomeno, penso che gli svizzeri tedeschi e francesi possano essere d’aiuto agli svizzeri italiani». Per Tatiana Crivelli, professore­ssa all’Università di Zurigo, la questione dell’attrattiva della lingua non si pone. «L’italiano è una lingua che piace. Il problema è l’offerta. E purtroppo la politica nazionale, al di là del “mito del plurilingu­ismo” enunciato molto spesso, si è incanalata in una direzione miope: trincerand­osi dietro ai numeri, sostenendo che sono sempre di meno gli allievi disposti a seguire i corsi di italiano, riduce le possibilit­à anziché potenziarl­e». «È sulla realtà dei fatti che dobbiamo agire con forza», ha chiosato Bertoli. Anche dal punto di vista finanziari­o. «Mi sembra chiaro che la politica del plurilingu­i-

smo richieda importanti risorse – ha commentato il console italiano Marcello Fondi –. Un’ottima ragione per investire sull’italiano è la cultura. Se la Svizzera è disposta ad abbandonar­e gli stereotipi, allora l’Italia è pronta a fare la sua parte. Con l’obiettivo di permettere di leggere e capire Dante o Machiavell­i.

Possiamo allora trovarci a discutere già da domani mattina, anche in termini di risorse». Eccole le occasioni di incontro, di comprensio­ne reciproca: l’Italia investe moltissimo nella promozione dell’italianità nel mondo, perché non farlo in Svizzera? A questo punto non sembrano mancare i ponti e i canali istituzion­ali, ma hanno anch’essi bisogno di qualche... stimolo. Lo ha ricordato il consiglier­e nazionale Ignazio Cassis: c’è ancora molto da fare. A cominciare dalla lingua utilizzata a Palazzo federale, tra parlamenta­ri e amministra­zione federale. Svizzero tedesco? Macché: Schwiizerd­ütsch.

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TI-PRESS Gli oratori invitati dal Consiglio di Stato ieri a Locarno

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