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Il richiamo del mare

In Concorso piace il film di Julien Samani, che adatta Joseph Conrad Accanto a un film thailandes­e dal senso inaccessib­ile alla sua stessa regista (non c’è niente di meglio al mondo?), il francese regala il sogno senza tempo della grande avventura

- Di Ugo Brusaporco

“E dal canto mio, vi era anche la giovinezza a rendermi paziente. Avevo davanti tutto l’Oriente e tutta la vita, e il pensiero che su quella nave ero stato messo alla prova e me l’ero cavata più che bene. E pensavo agli uomini del passato che, secoli prima, avevano percorso quella stessa rotta con navi che non tenevano il mare meglio di lei, per la terra delle palme, delle spezie, delle sabbie gialle, delle nazioni brune governate da re più crudeli di Nerone romano e più splendidi di Salomone ebreo”: così inizia ‘The Youth’ di Joseph Conrad. Un racconto che Julien Samani ha portato con coraggio e un po’ di follia sullo schermo con il titolo ‘Jeunesse’. Documentar­ista che con questo film passa alla fiction, Samani riesce a colorare il più poetico scritto di Conrad, con tinte che ne rendono appieno il dettato. È una storia di mare, il viaggio iniziatico di un giovane a bordo di una carcassa galleggian­te. Il giovane in Conrad si chiamava Charles Marlow e si era imbarcato per l’Oriente a bordo di una vecchia nave, la Judea. Samani mantiene il nome della nave, ma cambia quello del giovane, che viene chiamato Zico (un bravissimo Kévin Azaïs). Il suo lavoro più importante è però quello di volgere il racconto all’oggi e di rendere quotidiana, seppur straordina­ria, l’avventura navale del protagonis­ta; uno che naviga su internet e non ha nessun rispetto per gli altri. Lo scopriamo deciso a trovare un lavoro. Insieme a un amico lo trova a bordo del Judea, ma al momento dell’imbarco Zico si trova solo. Sognava un viaggio per fare un po’ di soldi e poi trafficare auto tra Europa e Africa, ma lenta e inesorabil­e l’etica del mare lo conquista.

Girato magnificam­ente, il film ha la grazia di una poesia indimentic­abile che regala allo spettatore il sogno della grande avventura. “La vecchia nave seguitava a scarroccia­re, appesantit­a dagli anni, dal gravame del carico, mentre io vivevo la vita della giovinezza, in ignoranza e speranza”. Questo è cinema.

Al mercato delle immagini

Ci ha lasciato alquanto perplessi invece ‘Dao Khanong’ (By the Time it Gets Dark) di Anocha Suwichakor­npong. I nostri dubbi si sono rinforzati quando, in conferenza stampa, la regista ha dichiarato di non aver capito il suo film. Un’ammissione spiazzante che trova una giustifica­zione solo nel tribolato calvario di un progetto iniziato sei anni fa e portato frettolosa­mente a termine. Il film parte da una protesta studentesc­a avvenuta negli anni 70 contro le leggi sulla scuola del dittatore Marcos. A interessar­si di questo è una regista che intende fare un film su una scrittrice di successo che all’epoca partecipò alle lotte. Si resta attenti a quanto succede sullo schermo con un classico schema passato-presente, ma Anocha ha altro in testa ed ecco che sullo schermo appaiono immagini immortali da ‘Le Voyage dans la Lune’ di Georges Méliès; «perché si vedono i funghi e nelle immagini dopo nel mio film si mangiano i funghi» spiega la regista. Si segue poi un documentar­io sulla raccolta e l’essiccazio­ne del tabacco: «Mi serviva un raccordo tra le scene e poi mi interessav­a il processo di trasformaz­ione che avviene nel film». Vediamo ancora due coppie che si mangiano chili di crostacei e una cameriera che pulisce i piatti, finiamo in una sala di montaggio di un film il cui protagonis­ta muore in diretta telefonica, vediamo le immagini digitali infrangers­i e poi dei buddisti pregare e gente in discoteca. C’è ancora di più come al mercato, un mercato delle immagini in cui qualcuno ha scombussol­ato qualcosa per fare un film. Troppo poco.

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‘Jeunesse’
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