Fra nazismo e democrazia
In un interessante dibattito, una pagina di storia cinematografica e politica Fra le macerie della Germania del Secondo dopoguerra, passando da un regime all’altro senza soluzione di continuità. Si fanno sempre film, con gli stessi soldi e le stesse perso
Alla scoperta del cinema tedesco dopo la Seconda guerra mondiale, e fino all’inizio degli anni Sessanta. «Un periodo identificato con Konrad Adenauer, primo cancelliere della Repubblica Federale, e che solo in questi ultimi anni viene studiato e riscoperto dal punto di vista cinematografico», dice Olaf Moeller, che insieme a Roberto Turigliatto ha costruito la Retrospettiva che il Festival ha dedicato al cinema tedesco tra il 1949 ed il 1962. Una cinquantina i titoli inseriti nel programma della rassegna, «segnata dal successo presso il pubblico locarnese», ammette soddisfatto Turigliatto, e che ha portato sotto i riflettori alcune caratteristiche del cinema delle due Germanie: «Abbiamo osservato Est e Ovest insieme, ma anche come fuori dalla Germania vedevano i tedeschi in quel periodo», dice lo studioso di Colonia. E così pure riscoperto diversi registi in precedenza caduti nell’oblio, per la comodità di chi, certi temi, non gradiva venissero affrontati. Un oblio che ha fatto trascurare, per decenni, quanto fosse variegato e differenziato il cinema di quel periodo, e che ha nascosto sotto una cortina di omogeneità un mondo invece caratterizzato da un ampio dibattito culturale, con visioni anche contrastanti tra i diversi protagonisti.
I soldi e anche diversi personaggi, registi e attori, erano gli stessi del nazismo
«Odio e paura erano i due sentimenti dominanti in quegli anni», afferma Moeller. Sentimenti che discendevano di-
rettamente dai drammi della guerra, del nazismo e dell’occupazione militare alleata. «La Germania come Stato occupato e diviso – continua lo studioso tedesco – era il tema ricorrente ma soffocato. Non esisteva una censura, ma l’atmosfera generale non consentiva di affrontare certi argomenti». Per questo, molti dei lavori di quel periodo finirono quasi dimenticati o addirittura in un cassetto. Su quali basi si fondava il “nuovo” cinema tedesco, su entrambe le sponde del fiume Elba che marcava il confine tra Est e Ovest? «Era un cinema che usciva dalle macerie, fisiche e culturali, lasciate dal Terzo Reich e che ha traslocato
quasi per intero nel nuovo regime. Anzi, regimi, se guardiamo alle due Germanie», la risposta all’unisono di Moeller e Dominik Graf, altro esperto di cinema tedesco che ieri ha preso parte al dibattito. «Molti dei film in preparazione nel maggio 1945 sono stati completati quasi senza modifiche dopo la guerra. E i soldi che hanno finanziato produttori e registi in quei primi anni arrivavano ancora dal nazismo. Anche diversi personaggi, registi ed attori, erano gli stessi», riconosce Moeller. «Ma non chiedetemi i nomi», aggiunge. Una cinematografia, quella presa in considerazione, dove si possono rintracciare le difficoltà e le proteste di chi, venendo dall’esperienza di un regime, si trovava a vivere e lavorare sotto un altro regime, in cui vigeva l’ordine di tacere sul passato. In qualche caso, secondo i promotori della rassegna, quegli anni si avvicinano si nostri: difficoltà economiche e sociali, cambiamenti nei sistemi politici, grandi movimenti migratori a seguito di eventi bellici. «Ma oggi mancano le soluzioni messe in atto negli anni 50», il lamento di Olaf Moeller. Grazie a retrospettive come quella locarnese, tornano a vivere e a ispirarci dibattiti proficui.