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Con i Giochi un rapporto tormentato

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Ha cambiato tecnici, distanze in acqua e città. Ha vinto ori e stabilito record, ma anche subìto sconfitte. La storia di Federica Pellegrini alle Olimpiadi dura da dodici anni: da Atene 2004, quando appena sedicenne riportò il nuoto italiano al femminile sul podio a cinque cerchi. Si prese l’argento nei 200 stile libero, la gara che da lì in poi segnerà nel bene e nel male la sua vita di atleta. Perché è su questa distanza che la Fede – quattro titoli mondiali e sette europei – ha scritto un bel po’ di storia del nuoto, e fermato anche il cronometro a 1’52’’98 che resta ancora il limite da battere nei 200. Quattro anni più tardi, a Pechino vinse l’oro nei 200, battendo per due volte il record del mondo. Dalla gloria all’amarezza di Londra: le Olimpiadi del 2012 hanno infatti rappresent­ato il flop a cinque cerchi della Pellegrini: quinta sia nei 200 che nei 400 sl, e una delusione che la spinse a riflettere anche sul futuro. Ne seguì un periodo utile per riordinare le idee e trovare nuovi stimoli. A bordo vasca il trauma più intenso lo ha vissuto nel 2009 con la morte di Alberto Castagnett­i, il suo adorato tecnico-guru, ct di tutta l’Italnuoto: quella perdita le tolse la guida ed è servito del tempo prima che l’azzurra ritrovasse un tecnico a cui affidarsi senza se e senza ma. Trovandolo in Matteo Giunta. Ora, a 28 anni (compiuti lo scorso 5 agosto), con la medaglia “di legno” di Rio potrebbe calare il sipario sull’avventura olimpica della “Divina”, che ieri ha rinunciato alle batterie dei 100 stile libero dando la precedenza alla staffetta 4x200 m proprio per cercare di chiudere in maniera positiva una storia tormentata.

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KEYSTONE Finale amaro

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