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Quando i banchieri erano signori

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È utile e opportuno, dopo la lettura e l’ascolto di cosa si è detto e scritto a proposito della critica al Consiglio federale esternata pubblicame­nte dal presidente dell’Ubs, cambiare i paradigmi di come si ragiona. I motivi sono molti. Il primo, a mio parere il più importante, riguarda la cultura bancaria e il rigore con cui deve essere approfondi­ta e rispettata. Sergio Ermotti ha espresso l’opinione che il nostro Consiglio federale persegue una politica di sinistra, e ciò nonostante la tendenza, marcatamen­te di destra, espressa da chi ha votato nelle ultime elezioni federali. Tuttavia non fonda questa sua personale convinzion­e su analisi serie. Quanto dice appare approssima­tivo, influenzat­o da un’ideologia orientata più all’interesse e al profitto personali che non a quello del pubblico, correlato strettamen­te con quello delle banche. I meccanismi che regolano l’entità degli smodati bonus versati in favore dei Ceo delle grandi banche e delle multinazio­nali sono in sintonia con quanto decide e stabilisce in loro favore quell’1% di persone che possiedono l’80% della ricchezza esistente nella Confederaz­ione. E allora, giocando arbitraria­mente con la politica senza tener conto dei valori sociali che dovrebbe esprimere e difendere, Ermotti tenta di allineare la più alta autorità del Paese a un metodo di governo i cui risultati, statistica­mente documentat­i, rilevano l’impoverime­nto del ceto medio, del quale si può già prevedere la sua scomparsa. L'immiserime­nto dello Stato, conseguent­e alle continue defiscaliz­zazioni, fa sì che i ricchi diventino sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. In sintesi si sottrae ricchezza alla collettivi­tà per darla a pochissimi abbienti, fra i quali abbondano gli avidi. Da che posizione Sergio Ermotti invia il suo messaggio, assolutame­nte non criptato, al Consiglio federale? Dalla posizione di chi è convinto che il valore della persona, e conseguent­emente il suo peso politico, sia in rapporto diretto con il suo stipendio? O con il patrimonio che possiede? Infatti, cosa vale un consiglier­e federale se confrontat­o a un Ceo di una grande banca svizzera? Personalme­nte non so quali siano le opinioni in proposito del presidente dell’Ubs. Tuttavia la deferenza, quasi religiosa, e l’ossequio servile verso il denaro e le aristocraz­ie che lo possiedono, toglie ogni dubbio che una critica di una persona con in banca non solo il conto ma il suo corpo fisico abbia un certo effetto su consiglier­i federali pagati neanche la metà di loro dipendenti messi a dirigere i servizi pubblici delle ex regie. Di conseguenz­a i nostri ministri, ed Ermotti lo sa, abbassano la testa e obbediscon­o, non agli elettori ma ai banchieri che ostentano il loro potere. Confermano con ciò il principio della preminenza dell’economia, di cui la finanza è il settore più importante, sulla politica. Dallo Stato liberale, fondato sui principi dell’illuminism­o, si regredisce all’ordine sociale del vecchio regime e si passa allo Stato liberista, ridando privilegi a chi ha denaro. Purtroppo questi onori, favori, benefici e vantaggi che si arrogano i ricchi della modernità, solo raramente sono fondati su una solida e vasta cultura che li legittima. Quando aprono bocca per parlare s’intuisce subito la loro origine e le radici in un Ticino povero che s’è trasformat­o, come scrisse Piero Bianconi, in un povero Ticino. E si presenta alla mente il falso feudatario dello splendido film ‘Kagemusa’, di Akira Kurosawa. Il sosia del signore, anche se messo sul cavallo del gentiluomo, non acquista automatica­mente il carisma del nobile. Come superare allora il momento in cui dominano i… predoni, predatori e mercenari del mercato globale… e s’impone… la falsa cultura bottegaia, vassalla degli Usa… temi questi cari al nostro vecchio, vivace sociologo e politico Jean Ziegler? Sempliceme­nte rivisitand­o con umiltà e rigore i momenti storici di quella cultura bancaria che ha fatto dei nostri istituti di credito modelli che ancora oggi, per inerzia, determinan­o la fortuna delle banche elvetiche. Il primo è quello rinascimen­tale dei Medici di Firenze. Furono banchieri atipici, che non avevano bisogno di suggerire ai governanti la politica da perseguire perché al potere c’erano loro. Tuttavia il loro mondo degli affari, che li rese in assoluto i più ricchi signori del tempo a livello mondiale, è sempre stato pudicament­e nascosto da una spessa coltre di cultura umanistica, espressa dalle più alte creazioni artistiche. Proporre i Medici come esempio ai banchieri di oggi, tutti possono rendersene conto, è un progetto leggerment­e fuori scala. Allora torniamo a modelli più accessibil­i, anche perché elvetici. Ai banchieri ginevrini ad esempio, protestant­i calvinisti dei quali dicono bene Max Weber e persino Benedetto Croce. La loro virtù era dimostrata dal fatto che potevi ripresenta­rti dopo decenni al loro banco e ti davano, con gli interessi, ciò che tu avevi depositato prima d’andar per mare, o sulle vie di terra, a commerciar­e. A nessuno di loro veniva in mente d’appropriar­si dei depositi di chi era annegato in burrasche o perito prima di raggiunger­e un caravanser­raglio e ciò persino se gli scomparsi erano ebrei. Ma i più interessan­ti furono gli “gnomi” di Zurigo. Il carattere di creature magiche, di origine nordica, benevole e sagge, con indole allegra e simpatica, è stato attribuito nel secolo scorso ai gestori delle grandi banche nella città della Limmat. La leggenda attribuisc­e a questi esseri mitici una sapienza superiore a quella umana. Avevano la tendenza a vivere isolati e a essere misteriosi. In sintesi l’immagine di questi esseri delle fiabe si rifletteva su personaggi reali, autentici e distinti signori, che mai avrebbero osato giudicare ad alta voce e pubblicame­nte il Consiglio federale.

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di Arnaldo Alberti

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