Immunità deputati da sopprimere? Prevale il no
Deputati ed eccessi, la proposta di Quadranti non incontra i favori della maggioranza commissionale Gendotti, contraria: è già molto limitata ed è revocabile. Galusero, favorevole: è un privilegio, ingiustificato.
L’immunità parlamentare? Secondo Matteo Quadranti è da sopprimere. Ma la proposta del deputato liberale radicale – avanzata lo scorso febbraio con un’iniziativa – di rimuovere dalla Legge sul Gran Consiglio il relativo articolo non incontra i favori della maggioranza. Quella della commissione che sta rivedendo la normativa che disciplina il funzionamento del Legislativo cantonale. A guidare il fronte dei contrari è Sabrina Gendotti (Ppd), incaricata di stendere il rapporto «con cui inviterò il plenum del parlamento a respingere la drastica richiesta di Quadranti». Favorevole alla cancellazione dell’istituto dell’immunità per i granconsiglieri ticinesi, Giorgio Galusero (Plr). «Lo ritengo – commenta il relatore di minoranza – un privilegio, che cozza con il principio della parità di trattamento: tutti, deputati e comuni cittadini, sono uguali di fronte alla legge». È ciò che in sostanza sostiene pure l’iniziativista: “Se vogliamo essere posti al pari del semplice cittadino fuori dall’aula (del Gran Consiglio, ndr.), allora ciò valga anche all’interno della stessa o comunque nell’attività parlamentare”, scrive fra l’altro Quadranti. «Da una ricerca che ho fatto nel frattempo, per capire come è regolamentata l’immunità parlamentare nel resto della Svizzera e nelle altre nazioni europee, risulta che tutti i Cantoni, dunque non solo il nostro, prevedono questo istituto – evidenzia Gendotti – . Nella maggior parte dei parlamenti cantonali l’immunità è relativa, nel senso che può essere revocata. Ed è relativa pure in Ticino». Così come stabilito dalla Legge sul Gran Consiglio. Per la precisione dal suo articolo 51, che Quadranti suggerisce di abrogare. Il 51 consta di quattro capoversi. Il primo: “Contro un deputato non può essere promosso alcun procedimento penale per le espressioni presumibilmente diffamatorie da lui usate durante le deliberazioni del Gran Consiglio, delle sue commissioni, nei rapporti commissionali e negli atti parlamentari, se non con l’autorizzazione del Gran Consiglio”. Il secondo: il Legislativo cantonale “decide se togliere l’immunità su richiesta del Ministero pubblico, sentito il preavviso dell’Ufficio presidenziale. All’interessato è data la possibilità di esprimersi davanti all’Ufficio presidenziale”. Il terzo: “La decisione di togliere l’immunità parlamentare deve avvenire a maggioranza assoluta. La votazione avviene a scrutinio segreto”. Infine il quarto capoverso: “Un deputato può rinunciare volontariamente all’immunità parlamentare”.
‘Niente pressioni, niente bavagli’
Il testo del vigente articolo, ricorda Gendotti, «è stato approvato dal Gran Consiglio nel 2010, accogliendo la modifica legislativa proposta dalla commissione Costituzione e diritti politici». La quale aveva condiviso quanto caldeggiato da Jacques Ducry (all’epoca deputato del Plr) e dagli allora granconsiglieri Monica Duca Widmer (Ppd) e Manuele Bertoli (Ps) con un’iniziativa inoltrata nel 2008: una riforma dell’istituto dell’immunità parlamentare, trasformandola da assoluta in relativa. Pertanto, in caso di querela, niente più immunità per il deputato che nell’esercizio delle funzioni di granconsigliere (nelle sedute del parlamento e nei lavori commissionali) calunnia e ingiuria; immunità invece mantenuta, ma relativa (ergo revocabile), per quel che riguarda “le espressioni presumibilmente diffamatorie”. «Attualmente l’immunità copre dunque un solo reato e non è assoluta», riprende Gendotti, seconda vicepresidente della speciale commissione parlamentare alle prese con la revisione della legge sul Gran Consiglio: «Insomma, considero la richiesta di Quadranti sproporzionata: non si giustifica». Aggiunge la deputata popolare democratica: «Se l’immunità c’è anche negli altri Cantoni – dove è più ampia, più estesa della nostra – e nelle altre nazioni europee, un motivo ci sarà. Serve pure a garantire la libertà di espressione di coloro che vengono eletti dal popolo». Libertà di espressione «che ovviamente non significa libertà di diffamare: libertà di espressione significa, anche, porre domande scomode al governo, senza temere condizionamenti di sorta o pressioni esterne». D’accordo con l’iniziativa del collega di Gran Consiglio e di partito è Galusero. «Dell’immunità si può abusare», avverte. «In veste di granconsigliere – continua Galusero – ho fatto interventi e allestito atti parlamentari anche su argomenti scomodi, che mi urtavano, senza però scivolare nella diffamazione. Siamo parlamentari di milizia, persone che fuori del Palazzo svolgono una professione e che se come cittadini non rispettano la legge vengono punite. Non capisco perché questo non debba valere anche all’interno del Palazzo politico».