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Stranger’s list

- Ansa/e.f.

Londra – Siamo alle liste: al congresso del partito conservato­re britannico, Amber Rudd ha sollecitat­o le imprese a “rendere note nelle liste dei dipendenti i numeri dei non britannici”. Non è una militante qualsiasi, Rudd, ma il ministro dell’Interno nel governo Tory di Theresa May. Ieri, forse stupita che a sud della Manica qualcuno se la sia presa, Rudd si è corretta in parte, ma più per la forma che nella sostanza. È l’effetto-Brexit che il partito dello sventato Cameron sta cercando di sfruttare prima che se ne avvertano i costi. May stessa ha ripetuto come un mantra che l’obiettivo del suo governo è recuperare la sovranità ceduta all’Unione europea, e il congresso l’ha ringraziat­a con ovazioni (mentre Boris Johnson aspetta il momento propizio per passare all’incasso e tanti saluti alla signora). Una sterzata a destra forse inattesa, nel momento in cui “l’alternativ­a conservatr­ice” potrebbe attirare gli elettori laburisti più moderati spaventati dall’indirizzo “di sinistra” imposto al Labour da Jeremy Corbyn. Ma che si spiega anche con lo sbando in cui pare essere finito lo United Kingdom Indipenden­ce Party, orfano del leader Nigel Farage, dimessosi immediatam­ente dopo la vittoria referendar­ia della Brexit. Giusto ieri, Diane James, eletta diciotto giorni fa a succedergl­i alla guida dell’Ukip, si è dimessa. Perché una cosa è vincere un referendum, un’altra è sapere cosa farne. Troppa grazia, quindi, per i Tory. May, pur volendosi accreditar­e come prima ministra rassicuran­te e sobria, non ha resistito a cavalcare l’onda della Brexit. E Rudd l’ha presa sul serio: proponendo dunque misure draconiane per ridurre gli ingressi degli stranieri, studenti inclusi, e assicurare che chi arriva vada a riempire soltanto vuoti occupazion­ali. Briton first: più o meno “prima i...”.

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KEYSTONE Per il resto, un dibattito appassiona­nte

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