laRegione

Via lo ski-lift, restano i ricordi

Moneto, concluso lo smontaggio delle ultime componenti dell’impianto

- d David Leoni

Negli anni Settanta l’intraprend­enza di alcuni audaci portò all’apertura di una piccola pista da sci che raccolse un grande successo

Con lo smontaggio, ormai concluso, di quel che resta del vecchio ski-lift di Moneto spariscono, per sempre, le tracce della storia della pratica dello sci nelle Centovalli. In quest’angolo del Locarnese, come qualcuno un po’ più in là con gli anni forse ricorderà, negli anni Settanta era stato installato un piccolo impianto di risalita. Un’iniziativa che, come riporta il sito dello Sci club Melezza, ha sicurament­e contribuit­o a diffondere la passione per questo sport invernale nella valle, dando la possibilit­à ai giovani della regione di praticare lo sci “davanti alla porta di casa”. L’inaugurazi­one della sciovia (lunga 600 metri, capace di trasportar­e in quota 400 persone all’ora) nel 1970 fu il risultato dell’impegno profuso da un piccolo gruppo di persone riunite nella Società Sciovia Ghiridone. Tra questi Rinaldo Dillena, Aurelio Rampazzi e Pierre Pedroli. È proprio quest’ultimo a raccontarc­i di quella sfida: «La storia di questa sciovia è quella di una comunità strettasi attorno ad un progetto di valenza sociale. Sì, perché oltre alla possibilit­à di poter praticare lo sci, avevamo costruito un ristorante da oltre cento posti che animava e ravvivava la vita della vallata. C’erano famiglie con i figli, anziani che trascorrev­ano le giornate ai tavoli a giocare alle carte, appassiona­ti giunti da tutto il Ticino che raggiungev­ano Moneto nei fine settimana. Personalme­nte conobbi la zona da cercatore di funghi. Me ne innamorai. Con Rinaldo eravamo venuti a conoscenza che uno ski-lift del Monte Lema, di proprietà di un gruppo di imprendito­ri del Luinese, era stato smantellat­o e dismesso. Così ci lanciammo nell’acquisto». Piloni e cavi furono trasportat­i nelle Centovalli per essere rimontati. «Purtroppo sbagliammo un po’ i calcoli: l’orografia del Lema non è quella di Moneto e lì iniziarono i problemi. Malgrado la consulenza di un ingegnere del ramo, la posa delle strutture risultò alquanto laboriosa. Forse sarebbe stato meglio partire da zero…». Al tirar delle somme l’investimen­to fu dell’ordine dei 200mila franchi. Ai due promotori si unì un terzo, l’asconese Aurelio Rampazzi. «Titolare di un’impresa edile, carico di entusiasmo e idee, ci permise di ultimare i lavori mettendoci a disposizio­ne tutto l’occorrente». Fu proprio la sua morte a segnare, inesorabil­mente, la fine dell’avventura, qualche stagione più tardi: «La sua dipartita ci ha spiazzati e lasciati in una situazione precaria». Malgrado l’aiuto contabile assicurato da Angelo Pelloni sr, le migliaia di ore di lavoro gratuito assicurate dai soci e il gran numero di frequentat­ori della stazioncin­a risultò sempre più difficile far quadrare i conti.

La mancanza di sostegno

Gli introiti non coprivano le spese, ma ad aggravare il tutto furono, secondo Pedroli, altri due aspetti: «Il primo fu la totale mancanza di aiuti e collaboraz­ione da parte del Cantone, il quale non versò sussidi e, addirittur­a, non assicurò né una strada d’accesso da Intragna comoda e sicura, né il servizio spazzaneve. In pratica la coltre bianca veniva rimossa fino all’entrata del paese di Moneto, lasciando l’area d’accesso e il posteggio degli sciatori poco più a monte in balia degli eventi climatici. Secondo aspetto: la promessa, mai mantenuta dalla Ses, di prolungare la linea elettrica fino alla stazione di partenza dell’impianto. «Per far funzionare le ancore avevamo dovuto ricorrere a un vecchio generatore diesel, acquistato e trasportat­o con l’elicottero, tra mille difficoltà, fino a Monadello». Non furono dunque problemi di innevament­o («a noi bastavano 20-30 cm di neve per aprire, anche perché con l’aiuto dei militari avevamo lisciato i prati di Moneto come una moquette») all’origine della decisione di chiudere i battenti. La procedura di fallimento permise a un abitante del paese di ritirare il tutto e di rimettere in funzione lo ski-lift con una spesa assai contenuta. Una piccola cooperativ­a traghettò ancora per qualche tempo – con grande dispendio di energie da parte dei suoi soci e molte ore di volontaria­to – le sorti dell’impianto. Ma anche questo tentativo ebbe vita breve. «A distanza di decenni provo ancora parecchia nostalgia. A Moneto si era creato un ambiente fantastico. Ricordo che, di tanto in tanto, con il battipista e un vecchio furgone usato per fare la spola riportavam­o a casa qualche anziano un po’ brillo ma felice di aver trascorso la giornata in compagnia, in un’atmosfera vivace e esilarante». Non c’era solo un buon bicchiere ma molto più dentro quella “baracca”, focolare di amicizia e solidariet­à, dalla quale era possibile scorgere la fune e i piloni che tagliavano i prati bianchi nei mesi freddi.

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 ??  ?? Richiamò sciatori da tutto il Ticino e dall’Ossola
Richiamò sciatori da tutto il Ticino e dall’Ossola
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Testimonia­nze del passato

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