Il mago di Gravesano
Uno spirito libero e indipendente, un infaticabile sperimentatore, un direttore d’orchestra, operatore e intellettuale fermamente convinto del ruolo umanistico della cultura, al servizio di tutti. Hermann Scherchen, per una stagione breve quanto felice, portò il Ticino al centro dell’attenzione internazionale della ricerca sulla musica elettronica. A 50 anni dalla morte, una figura da riscoprire.
Il 12 giugno 1966 all’età di 75 anni, dopo un malore che l’aveva colto durante la concertazione dell’Orfeide di Malipiero, si spegneva a Firenze Hermann Scherchen. Poco più di un anno dopo moriva la moglie Pia, lasciando orfani in minore età cinque figli della nidiata di Gravesano. Alla tragedia familiare si accompagnava immediatamente il tramonto dello studio sperimentale di musica elettroacustica, creato nel 1954 nel villaggio ticinese divenuto punto d’incontro internazionale di musicisti, ricercatori, fisici impegnati ad affrontare i problemi della creazione e della riproduzione elettrica del suono. Quando due anni dopo, il direttore della Radio della Svizzera italiana, Stelio Molo, visitò lo studio in compagnia di Pierre Schaeffer per studiare la possibilità di farne un centro di ricerche annesso alla Ssr, come ne esistevano allora presso le radio di Milano, Colonia, Parigi, ecc., vi trovò solo vani vuoti: le apparecchiature erano state vendute a commercianti speculatori. In verità troppo tardi ci si era mossi per operare il salvataggio di un’istituzione privata, tramontata nonostante il fatto che attraverso la Rsi essa avesse trovato un canale d’integrazione nell’ambito locale (collaborazioni di tecnici, scambio di registrazioni, ecc.) e che dal 1955 fosse al centro dell’attenzione, facendo apparire anche una rivista (‘Gravesaner Blätter’, pubblicata in tedesco e in inglese) attentamente seguita dai protagonisti del rinnovamento musicale di quegli anni, anche a livello mediatico al punto che una rivista americana intitolò ‘The wizard of Gravesano’ un’intervista al maestro.
Libertà, indipendenza, futuro
A Gravesano si tennero seminari e congressi (di musica e matematica, musica e televisione ecc.), annunciando audizioni di composizioni di fresco conio che coglievano infallibilmente nel segno, come fu il caso del seminario tenuto nell’estate del 1956, in cui Scherchen e Luigi Nono presentarono la registrazione su nastro di ‘Le marteau sans maître’ di Pierre Boulez, ‘Incontri’ di Luigi Nono e ‘Kontra-Punkte’ di Karl-Heinz Stockhausen, affrontando quindi l’analisi del florilegio delle opere più significative e dei maggiori autori del momento. Nel 1966, in proiezione assolutamente coraggiosa verso il nuovo, avrebbe dovuto svolgersi un congresso sul rapporto tra arti e computer, che non ebbe luogo a causa della sopravvenuta morte del suo fondatore. Fra i protagonisti della musica del secolo scorso Scherchen è la figura meno indagata. All’origine ne stanno ragioni collegate all’inconfondibile sua personalità. Diversamente dagli altri direttori d’orchestra Scherchen non si preoccupò mai di crearsi un’immagine: non si affidò mai alle grandi case discografiche, preferendo i vantaggi di una piccola impresa (la Westminster) presso la quale godeva di ogni libertà. Libertà e indipendenza furono i cardini della sua azione, libertà che egli visse innanzitutto e profondamente a livello politico, a partire dall’internamento come civile tedesco in Russia durante la prima guerra mondiale (il cui scoppio lo colse mentre era impegnato con un’orchestra della Lettonia), poi come esiliato dal nazismo in Svizzera (per la prima volta in Ticino a Riva San Vitale dal 1933 fino al 1936). Ma libertà e indipendenza anche sul piano estetico: Scherchen non si legò mai a una sola scuola. Fra i seguaci di Schönberg (a lui, dopo la prima esecuzione del capolavoro nel 1912, il maestro affidò il ‘Pierrot lunaire’ per la prima tournée) fu il solo a mantenerne le distanze e a sottrarsi alla scelta esclusiva della dodecafonia. Salutato come “homo novus” sulla scena berlinese, percorso da febbrile attivismo, la sua partecipazione alla Novembergruppe lo sensibilizzò anche nei confronti di soluzioni artistiche opposte e precipuamente attente, attraverso la Gebrauchsmusik, ai compiti sociali della musica. Più di altri ne colse l’orientamento Theodor W. Adorno: “Scherchen incarna un tipo assolutamente nuovo di direttore sul piano dello stile e della sensibilità. Il suo modo di dirigere è fondato sulla nozione di attualità”. Ciò che gli interessava dei compositori del passato era l’aspetto avanguardistico, la novità che rappresentavano per il loro tempo e che gli consentiva di trovare una chiave di interpretazione in grado di ridarci a distanza di tempo la stessa forza d’impatto. Non per niente in una pagina di diario aveva scritto: “Con Bach ha inizio l’esistenza vera e propria della musica […] Bach è una finestra aperta su Schönberg”. Ciò spiega il suo accanimento per anni intorno alla ‘Kunst der Fuge’, aperta sul futuro in quanto non strumentata e la cui orchestrazione portò a compimento solo un anno prima della morte, dirigendola a Lugano sul podio dell’Orchestra della Rsi il 14 maggio 1965.
Quando il maccartismo svizzero...
Oltre ad essere stato un grande direttore d’orchestra, fu un grande intellettuale e un grande operatore culturale, percorso da un attivismo febbrile che lo portò a fondare e a dirigere riviste (‘Melos’ nel 1920, ‘Musica viva’ nel 1936), case editrici musicali (‘Ars viva’ nel 1936), ad organizzare incontri e congressi, a scrivere libri, articoli, saggi. Intendendo il suo ruolo umanistico come una missione, profuse energie nell’impegno pedagogico, dalla direzione di cori operai nella Berlino degli anni 20 ai corsi di direzione d’orchestra (fra i suoi allievi Igor Markevitch, Ernest Bour, Bruno Maderna). Attento allo sviluppo tecnologico fu un pioniere della musica radiofonica assumendo nel 1928 l’incarico di direttore dei programmi musicali di Radio Königsberg, sperimentando nuove forme di programma proseguite negli anni di attività a Radio Zurigo (1945-1950). Se consideriamo i quasi 30 anni (dal 1923 al 1950) in cui fu attivo come primo maestro ospite all’Orchestra del Musikkollegium di Winterthur, dove si prodigò per la valorizzazione della musica svizzera, assicurando innumerevoli prime esecuzioni a molti nostri compositori (Othmar Schoeck, Conrad Beck, Willy Burkhard, Edward Stämpfli, Henri Gagnebin, Rolf Liebermann, ecc.), ci rendiamo conto di quanto il nostro Paese gli sia debitore. Tenne inoltre a battesimo innumerevoli composizioni di Bartók, Hindemith, Weill, Berg, Stravinsky, Webern, Varèse, al punto da mantenere un ruolo di protagonista anche nell’ultimo dopoguerra come promotore dell’avanguardia nei nomi di Luigi Nono, Karlheinz Stockhausen, Hans Werner Henze. Spirito libero, fu vittima del nostro “maccartismo”, con il forzato allontanamento dalle funzioni detenute alla Radio della Svizzera tedesca e dal Musikkollegium di Winterthur nel 1950, dopo una viscerale campagna di stampa lanciata a causa della sua partecipazione in piena guerra fredda alla Primavera musicale di Praga e per aver egli accettato incautamente di prendere la parola su questo argomento in un club culturale di Basilea legato al Partito del lavoro. Lasciata polemicamente la Svizzera, vi ritornò nel 1953 prendendo residenza a Gravesano, allacciando legami funzionali con la Rsi, che lo invitò a dirigere nella primavera del 1965 un memorabile ciclo di cinque concerti dedicato all’integrale delle sinfonie di Beethoven abbinate a una serie di prime esecuzioni (di Humphrey Searle, Iannis Xenakis, Albert Moeschinger, Leon Schedlowsky, Tona Scherchen, Darius Milhaud), da ricordare come uno dei momenti artistici più significativi e più alti che siano mai stati offerti al nostro pubblico.