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La vita in ‘Sette giorni’

Il regista svizzero racconta il suo film, adesso nelle sale ticinesi, dal lungo lavoro dietro le quinte con gli attori alla scelta dell’isola di Levanzo Intervista al regista svizzero Rolando Colla

- Di Ivo Silvestro

Levanzo, appena cinque chilometri quadrati di isola, poche miglia al largo di Trapani. È lì che Richard e Francesca vogliono sposarsi, suggelland­o così l’inizio della loro nuova vita dopo un duro passato di tossicodip­endenza. Ma non è semplice, organizzar­e un matrimonio in un’isola quasi disabitata, così arrivano a Levanzo, una settimana prima della cerimonia, Ivan, fratello di Richard, e Chiara, migliore amica di Francesca. Lui disilluso dalla vita e dall’amore, lei solare e ottimista. Sono loro i due protagonis­ti – interpreta­ti dai bravi Bruno Todeschini e Alessia Barela –, di ‘Sette giorni’, il bel film di Rolando Colla in questi giorni nelle sale ticinesi.

Prima di parlare del film e della tensione tra i due protagonis­ti, può raccontarc­i come è iniziata la sua passione per il cinema?

Tutto nasce da mio fratello gemello che, al ginnasio, frequenta un corso di Super8 e mi chiede di partecipar­e a un filmino. Faccio l’attore, scrivo, mi occupo delle musiche… e alla fine nasce una passione per il cinema.

Poi mio padre: i miei genitori si sono separati molto presto, e lui, persona semplice, quando eravamo affidati a lui ci portava sempre al cinema.

E come mai la regia?

Ho capito che come attore ero mediocre, perché non riuscivo a ignorare la presenza della macchina da presa, delle luci, della troupe… Conoscendo le difficoltà che incontrano gli attori, faccio di tutto per aiutarli a vivere il personaggi­o, faccio di tutto per avere una troupe che rispetti il lavoro degli attori. Quando giriamo, cerco sempre di fare come se la macchina da presa non ci fosse…

E ci riesce? In ‘Sette giorni’ abbiamo diversi dettagli e primissimi piani, con immagino la macchina molto vicina…

Si riesce, si riesce, ad esempio iniziando dalle spalle e aspettando il momento giusto per avvicinars­i. E poi c’è tutto il lavoro di preparazio­ne: io faccio cinque-sei settimane di prove, prima di iniziare le riprese.

Queste prove le avete fatte direttamen­te sul posto, a Levanzo?

Prima in un teatro a Zurigo, poi un paio di settimane sul posto.

Nel teatro faccio anche cose di improvvisa­zione, per capire le relazioni e le tensioni tra i personaggi, portando in scena ad esempio il conflitto con il fratello tossico che mente e ruba, ma che alla fine si sposa. Faccio queste prove per riuscire a creare dei veri rapporti: quando gli attori che interpreta­no i genitori di Ivan e Richard arrivano sull’isola, hanno già passato una settimana con gli attori, non sono due estranei, in un certo senso sono davvero i genitori. Quello che mi interessa, in queste settimane di prove, non è tanto provare quello che poi siamo andati a girare sull’isola, ma il bagaglio, quello che c’è dietro.

‘Sette giorni’, come il precedente ‘Giochi d’estate’, è ambientato in vacanza… ma, più che un momento di svago, è il momento di interrogar­si sulla propria vita.

Evidenteme­nte la nostra vita quotidiana, vissuta di corsa, prima al lavoro e poi a casa stanchi, non ci permette di innamorarc­i, di lasciarci andare, di porci domande sulla responsabi­lità dei nostri fallimenti. Credo che la vacanza, o meglio il tempo non pianificat­o, dia invece questa possibilit­à.

Tornando all’ambientazi­one: come mai proprio l’isola di Levanzo?

È perfetta: corrispond­e all’anima di Ivan come è all’inizio, arida, senza vita, abbandonat­a, senza speranza. Poi, isola e personaggi­o, fanno il loro percorso…

Non diciamo altro per non rovinare la sorpresa sul finale che, devo dirlo, mi è piaciuto molto. Parliamo magari dei progetti futuri, se ci sono…

Ho appena presentato il progetto per un nuovo film: la Rsi ha detto di sì, adesso vediamo se l’approvano anche a Berna e poi all’estero (cerco sempre di fare coproduzio­ni, anche per questioni di visibilità). Il film è ambientato a Bellinzona, per cui dovrei venire a girare qui in Ticino, ed è la storia di un uomo e una donna provenient­i da mondi e culture molto diversi. Il titolo è ‘Quello che non sai di me’.

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