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Trio (quasi) in sol come pretesto

- Di Enrico Colombo

Willi Zimmermann, violino, Ruth Killius, viola, e Daniel Haefliger, violoncell­o, che si presentano come Trio Alexander, mercoledì al Conservato­rio hanno affrontato grandi pagine di Johann Sebastian Bach e di Wolfgang Amadeus Mozart, legate fra loro dalla prima esecuzione assoluta di un’opera di Katharina Rosenberge­r, compositri­ce nata a Zurigo che vive e lavora tra Stati Uniti ed Europa, tra l’altro insegna all’Università di San Diego in California. Il concerto si è aperto con due Preludi e fughe del “Clavicemba­lo ben temperato”, BWV 883 e 858, nella trascrizio­ne per trio d’archi di Daniel Haefliger; si è chiuso con il Divertimen­to K 563, che, sotto mentite spoglie di divertimen­to, ha la complessit­à della musica che non intrattien­e, ma impegna l’ascoltator­e. Alfred Einstein lo definì “il Trio più bello e più perfetto che mai sia stato scritto” ed è una fortuna ascoltarlo dal vivo nell’interpreta­zione degli Swiss Chamber Soloists, un piacere raffinato come ascoltare le idee musicali che Bach ha scritto per tastiera affidate al suono degli archi.

Mozart ha completato un solo Trio per archi, il K 563, ma ha lasciato anche un breve Frammento di trio in sol maggiore, catalogato come K 562e. Gli Swiss Chamber Concerts hanno chiesto a Katharina Rosenberge­r una composizio­ne che s’ispirasse a questo Frammento. Ne è nato il “Trio (quasi) in sol”, dieci minuti di musica che riflette bene la complessit­à della scrittura mozartiana, serba ai tre strumenti il ruolo di “primus inter pares”, ed è stata usata come legame quanto meno inconsueto dell’intero programma: l’ultimo accordo della Fuga di Bach è stato trascinato ed è diventato l’attacco del brano di Rosenberge­r, che allo stesso modo è scivolato nel Trio di Mozart.

Un accorgimen­to per relegare gli applausi al termine del programma, evitare quelli intermedi, che talvolta sono inopportun­i. C’è pur sempre una musica che chiama il silenzio, per la quale il silenzio è l’applauso migliore. La commistion­e fra musica del presente e del passato è anche un pretesto per ricordare che la tonalità non è probabilme­nte connaturat­a all’uomo, ma piuttosto una scelta culturale, che si è sclerotizz­ata nel tempo. E, d’altra parte, che l’atonalità non è una “conditio sine qua non” per la musica contempora­nea. Nel Trio Alexander mi è sembrato avvertire una leggera discrepanz­a fra il suono morbido, la bella pronuncia della viola e del violoncell­o e il suono alquanto aspro, quasi una durezza d’arco del violino. Del resto nell’esecuzione di Lugano, che precedeva almeno ancora quelle di Basilea e Ginevra, restava qualcosa da mettere a punto. Ma è quasi un valore aggiunto di questi Concerti il saper coinvolger­e l’ascoltator­e nei lavori in corso che poi accresce il fascino dei momenti più riusciti. Ricorderò questo concerto per l’esito magico dell’Andante mozartiano, dove la felice intesa raggiunta fra le audaci variazioni è sfociata in un fraseggio mozzafiato.

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