Crowd work, fenomeno svizzero
Sono circa un milione coloro che integrano il proprio reddito con un datore di lavoro ‘digitale’ Il dato emerge da una ricerca condotta da Syndicom. ‘L’uberizzazione’ del mondo del lavoro non si limita solo ai Paesi anglosassoni.
Il ‘crowd work’, ossia il lavoro realizzato attraverso una piattaforma digitale, riguarda il 18% degli occupati in Svizzera, pari a circa un milione di persone. Il Ticino è il cantone dove questo tipo di occupazione è più diffuso. Lo rivela una ricerca svolta dal sindacato Syndicom. Letteralmente ‘crowd work’ significa ‘lavoro nella folla’ e non è nient’altro che una delle nuove forme d’impiego figlie della rivoluzione digitale che tende a disintermediare i rapporti, lo spazio e i tempi di lavoro dell’attuale organizzazione d’impresa. In pratica ‘una folla’ di persone detta ‘crowd’ è connessa a una piattaforma digitale sulla quale i committenti, ‘i crowdsourcing’ (persone fisiche o imprese) caricano delle commesse la cui evasione è indirizzata alla folla di persone. Nel 2015, il numero di piattaforme digitali di ‘crowdsourcing’ nel mondo ha raggiunto le 2’300 unità: tra queste, le più famose sono le americane Amazon Mechanical Turk (Amt), Top coder e Upwork, l’australiana Freelancer.com e la tedesca TwagTra. I committenti vanno dai big dell’informatica (Intel, Google, Facebook, Microsoft) all’intrattenimento (Nbc e Walt Disney) ma non solo. Si entra, per intenderci, nel mondo della cosiddetta ‘gig economy’, la cosiddetta economia dei lavoretti che grazie ai moderni strumenti informatici (le app, ndr) permette a chi si mette a disposizione di arrotondare le proprie entrate senza grandi contropartite sociali. Gli autisti di Uber, per esempio, sono l’emblema di questo tipo di impiego. Nei giorni scorsi aveva fatto notizia la manifestazione bernese dei fattorini del servizio di consegne in bicicletta Notime (300 corrieri). Una start-up zurighese che, stando al sindacato Unia, impiegava corrieri per 22-25 franchi l’ora senza prestazioni sociali, indennizzi per le bici, né assicurazioni infortuni. Inoltre i collaboratori non ricevevano indennità per le vacanze e giorni festivi, né di malattia o infortuni e nemmeno tredicesima. Su pressione pubblica Notime ha deciso di assumere i corrieri dal prossimo 1° di ottobre. Questo è solo uno degli esempi svizzeri di ‘crowd work’. A livello internazionale sono numerosi. Per il sindacato Syndicom è necessario garantire a questa categoria di lavoratori diritti collettivi e assicurazioni sociali. Da un sondaggio internet effettuato tra 2’001 svizzeri di età compresa fra i 16 e i 70 anni, il ‘crowd work’ risulta più diffuso di quanto si pensasse finora. Il 32% degli intervistati ha già cercato un lavoro di questo tipo, e il 18% l’ha trovato. La Svizzera, nel confronto internazionale, si colloca dietro all’Austria ma molto più avanti rispetto a Gran Bretagna, Germania, Olanda e Svezia. Per oltre un quarto (26,1%) di questi lavoratori il guadagno del ‘crowd work’ rappresenta almeno la metà del reddito complessivo. Addirittura per il 12,5% è l’unica fonte di reddito. Si tratta di circa 135mila persone, equamente suddivise fra uomini e donne. La maggior concentrazione di lavoratori di questo tipo si riscontra in Ticino, ma la percentuale è elevata anche a Zurigo. In fondo alla classifica invece la Svizzera orientale, seguita dal Mittelland.
Non solo ‘lavoretti’
Dal sondaggio emerge che queste persone sono alla ricerca di vari tipi di crowd work per avere più fonti di guadagno. Inoltre questa nuova forma di impiego riguarda anche lavori altamente qualificati come servizi legali, contabilità, informatica o lavori creativi. Sempre secondo Syndicom, le grandi aziende esternalizzano sempre più per ridurre i costi fissi e gli obblighi sociali e le piattaforme digitali sfruttano le condizioni lavorative per eludere i contributi sociali (pensione, malattia e infortuni). Per il sindacato è urgente adottare misure per evitare la perdita della garanzie sociali. In primo luogo le piattaforme di crowd work devono impegnarsi a rispettare almeno le linee guida dell’Onu riguardanti le imprese e i diritti umani e le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil). Inoltre dovrebbero adottare misure contro il lavoro nero.