Le lingue dell’umanità
L’intervista / Abdelfattah Kilito, scrittore e professore di letteratura araba, ospite oggi a Babel
Poco tempo fa degli estremisti barbuti hanno decapitato la sua statua nella sua città. A mille anni dalla sua nascita, Al-Ma’arri risulta ancora un autore irriverente e scomodo. Lo si potrà scoprire oggi a Babel...
“(…) «Ma come te la cavi con le lingue? Anche tra voi ci sono arabi che non capiscono i greci e greci che non capiscono gli arabi, come avviene tra gli umani?» «Nemmeno per sogno, o uomo cui è stata usata misericordia! Noi siamo gente intelligente e sagace e siamo tenuti a conoscere tutte le lingue dell’umanità»”. Al-Ma’arri (Ma’arra 973 d.C-1057/58) è stato un letterato e poeta arabo, autore di svariati testi, redatti sia in prosa, sia in poesia, accusato, a torto o a ragione, di eresia. E Al-Ma’arri con ‘L’epistola del perdono’ – uno dei suoi componimenti più celebri –, sarà ospite della dodicesima edizione del festival di letteratura e traduzione Babel, grazie alla voce di Abdelfattah Kilito, specialista di letterature arabe classiche e professore all’Università di Rabat (in Marocco, suo Paese di origine). Kilito è anche insegnante a Parigi, Princeton, Chicago e Harvard, ma è anche autore, in arabo e in francese, di libri di saggistica, dal taglio narrativo, e racconti, dal taglio saggistico. ‘L’epistola del perdono’, scritta nell’XI secolo, è considerata uno dei capolavori della letteratura araba: si tratta della narrazione, in prosa, del viaggio nell’aldilà popolato di letterati pedanti, ipocriti adulatori eccetera, che dà forma a un testo satirico che si rivolge agli uomini, in particolare agli eruditi ambiziosi e ai poeti maldestri… Ci siamo intrattenuti col professor Kilito.
Professor Kilito, chi era Al-Ma’arri?
Al-Ma’arri, originario della città siriana Al-Ma’arri da cui ha preso il nome, è uno dei più grandi poeti arabi. Colpito da cecità abbastanza giovane, Al-Ma’arri ha deciso di condurre una vita ritirata per consacrarsi allo studio della grammatica e della letteratura. La sua raccolta ‘Gli imperativi’ ha attirato su di lui aspre critiche da coloro che lo accusavano, a torto o a ragione, di prendere in giro i profeti e di non credere alla resurrezione. La sua celebrità è anche dovuta a ‘L’epistola del perdono’. Un aneddoto recente: degli estremisti, penetrati
nella città di Al-Ma’arria, hanno decapitato la sua statua.
Che cosa racconta ‘L’epistola del perdono’?
Al-Ma’arri ha immaginato gli spostamenti di un letterato, Ibn al-Qârih, nell’aldilà, dopo la resurrezione dei morti: fa un’ampia descrizione del Giorno del giudizio, del paradiso e dell’inferno.
Scritto secoli fa, qual è il carattere attuale di questa prosa?
Dieci secoli dopo la sua redazione, ‘L’epistola’ non ha perduto la sua freschezza e
la sua vivacità. Basti pensare che è stata tradotta in italiano, in francese e in inglese.
Nell’introduzione alla versione italiana, il curatore ha scritto che il testo di Al-Ma’arri, per lungo tempo, è stato considerato una delle fonti della ‘Commedia’ dantesca. Quando ‘L’epistola’ è arrivata in Europa? E grazie a chi si è diffusa?
In effetti è stato supposto che fosse una delle fonti dell’opera dantesca. Tuttavia, quest’ipotesi, che non piace ai miei amici italiani, è molto cara ai lettori arabi. È
una questione di debiti. La letteratura araba deve molto a quella europea… Per una volta che un autore italiano si è ispirato a un’opera araba, non rovineremo il nostro piacere e possiamo regolare una parte del debito. Ma nulla permette però di confermare la tesi: nessun documento segnala la presenza dell’Epistola nel Medioevo latino. Anzi, di più, sembra che l’opera di Al-Ma’arri non abbia avuto nemmeno eco nel mondo arabo; è citata dai biografi nell’insieme delle sue epistole, ma nulla più. Si è dovuto attendere il 1919 perché uno studioso spagnolo, Asin Palacios, la svegliasse dal suo son- no ed evocasse il suo legame con la ‘Commedia’. Nascosta per circa nove secoli, l’opera ha ripreso vita solo negli ultimi decenni.
Secoli fa, la circolazione di testi letterari, in particolare dal mondo arabo (penso alla tradizione poetica), era più facile di oggigiorno? Le frontiere letterarie erano meno chiuse?
Nel Medioevo, la circolazione di opere filosofiche e letterarie arabe in Europa era intensa, basta citare a questo proposito Averroè e Avicenna che Dante ha generosamente piazzato nel Limbo, al fianco di Omero e Aristotele. La poesia andalusa ha probabilmente esercitato un’influenza sul lirismo dei trovatori. Da parte sua, Cervantes si è spinto fino ad attribuire ‘Don Chisciotte’ a uno storico arabo. Oggi, l’interesse degli europei per la letteratura araba è diminuito, mentre gli autori arabi si nutrono di letteratura europea. Una sola opera araba è largamente diffusa in Europa: ‘Le mille e una notte’.
Per quanto riguarda la sua produzione: scrive racconti in francese e i saggi in arabo, perché? Quando ha iniziato con la narrazione, quali sono i suoi motori?
I miei racconti sono in francese; ne ho scritti anche in arabo, ma non hanno portato a niente, tanto che li ho distrutti. È difficile spiegare questa situazione. Ciò che posso dire è che ho scoperto in francese la narrazione, lingua che naturalmente è diventata per me la lingua narrativa per eccellenza. Dalla mia infanzia, leggo opere di finzione quasi esclusivamente in francese e da allora sono stato piuttosto destinato a scrivere in questa lingua. Più tardi, mi sono interessato al racconto arabo classico e ne ho fatto il soggetto dei miei saggi. In generale, ogni mio saggio è una serie di considerazioni attorno a un aneddoto.
Qual è dunque la forza della traduzione? E il suo punto debole?
Il problema del traduttore è dover servire due lingue; detto in altre parole, deve servire due maestri. Non è facile soddisfarli tutti e due. D’altra parte, Ernest Renan ha detto che un libro non tradotto è pubblicato solo a metà.
(L’appuntamento per oggi alle 14 al Teatro Sociale; Kilito sarà con la traduttrice nonché giornalista Rsi Luisa Orelli).