‘Una bugiarda patologica’
A processo una 50enne che ha truffato assicurazioni private e sociali. Oggi la sentenza
L’accusa ha proposto una condanna a due anni di detenzione. La difesa si è battuta per una pena sospesa con la condizionale.
«Una bugiarda patologica». Il procuratore pubblico Andrea Minesso non ha avuto remore nel definire la 50enne italiana a processo da ieri davanti alla Corte delle Assise correzionali di Mendrisio presieduta dal giudice Marco Villa per rispondere di truffa aggravata e falsità in documenti. La donna ha presentato un certificato medico che attesta il suo stato di salute e non è presente in aula. Tra l’agosto 2003 e l’agosto 2009, come specificato nell’atto d’accusa, mediante false indicazioni e generalità e con certificati medici da lei allestiti, ha sottoscritto numerose polizze assicurative per perdita di guadagno in caso di malattia, inducendo cinque compagnie assicurative a corrispondere a lei e ai suoi familiari indennità assicurative per quasi 503mila franchi. Nello stesso periodo, l’imputata e il marito hanno ricevuto dall’Istituto assicurazioni sociali di Bellinzona prestazioni per 258mila franchi. Un secondo filone dell’inchiesta ha inoltre portato alla luce una truffa di 448mila franchi ai danni dell’Ufficio assicurazione invalidità. Il procuratore pubblico ha proposto una condanna a due anni di detenzione, rimettendosi alla Corte per un’eventuale sospensione condizionale della pena «perché nutro delle riserve sulla prognosi della donna». La difesa, rappresentata dall’avvocato Gianluca Molina, si è invece battuta per una riduzione della condanna, da sospendere con la condizionale. La Corte pronuncerà la sentenza oggi nel tardo pomeriggio. La 50enne non ha contestato la truffa alle assicurazioni private (riconoscendo anche gli importi di risarcimento presentati dagli accusatori privati), ma si è opposta ai reati contro le assicurazioni sociali. «Nel calcolo effettivo sono stati inseriti anche importi di provenienza illecita in quanto provenienti dalle assicurazioni private – ha sostenuto Molina –. Non c’è inganno astuto: il diritto di beneficiare della rendita Ai lo aveva». A mente della difesa il reato va quindi derubricato ad appropriazione indebita. Di parere opposto l’accusa, secondo la quale l’azione della donna «non può che essere una truffa aggravata per mestiere perché si è assicurata una fonte di reddito – ha spiegato Minesso –. Non contenta delle assicurazioni private, è passata alle assicurazioni sociali le cui prestazioni sono legate al fabbisogno e non allo stato di salute». La donna, ha aggiunto il pp, ha dimostrato «un’impressionante facilità nel confezionare e allestire falsa documentazione» e «ha abusato della fiducia sulla quale il sistema si basa». La difesa ha evidenziato la collaborazione fornita sin dal primo verbale e il lungo tempo trascorso.