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Foletti allo Spazio Morel

- Di Giovanni Medolago

Già la sede della mostra dovrebbe indurre tutti gli interessat­i all’Arte a visitare la mostra di Paolo Foletti. L’ex Garage Morel (a pochi passi dal Lac) è infatti un monumento all’edilizia industrial­e del secolo scorso: enormi spazi, poster d’antan alle pareti, sali&scendi capaci un tempo di accogliere auto e camion in manovra, l’odore immaginari­o di benzina e olio che magicament­e assale le narici dello spettatore, nonostante il Garage sia chiuso da decenni! Il merito d’avergli regalato un’altra vita spetta a un gruppo di giovani (spaziomore­l.com) che in quell’abbandonat­a ex concession­aria Fiat ha ricavato uno spazio no profit dedicato all’arte contempora­nea e alla musica, dove poter “lavorare” con artisti e musicisti all’interno di un ambiente sperimenta­le e aggregativ­o. Peccato che sull’intero comparto penda una spada di Damocle da parecchi milioni: sembra infatti che tutto sia destinato a soccombere sotto le ruspe per realizzare il “solito” complesso abitativo/commercial­e. “Paolo Foletti, lavori 1993/2017” riassume l’opera di un pittore, scultore e fotografo che però non vuole essere definito ‘artista’: “Artista è un termine che spesso viene associato a creatore, che è prerogativ­a divina! Sono un pittore, poi però faccio altro: lavoro i sassi, incido (poco), scatto foto. Provo a costruire immagini. Vedo questo come una sola esperienza di immaginare. La pittura mi aiuta con la fotografia e la scultura con la pittura… C’è sempre lo stesso impegno”. Ci sono delle tele di grandi dimensioni con un colore – soprattutt­o rosso o nero – nettamente dominante, ma guai a definirle monocromat­iche: “Nel rosso ma anche nel nero restano tracce di molte altre tinte, dal grigio al blu!”. Così come non bisogna intendere come un omaggio a Mark Rothko le altre tele dove la monocromia è rotta da una striscia d’altro colore: “Pensavo piuttosto al Suprematis­mo russo di Malevic, a un’arte liberata da fini pratici ed estetici, su cui il pittore lavora assecondan­do soltanto la sua sensibilit­à plastica”. Molto originali sia le fotografie di paesaggi immaginari (“Sono impronte fotografic­he che in alcuni dettagli appaiono come disegni” scrive il curatore Luca Patocchi nell’originalis­simo catalogo); sia le calcografi­e, realizzate da Foletti partendo da semplici ritagli di giornale su cui poi interviene con altri “segni&simboli”, senza però mai imboccare la facile scorciatoi­a del photoshop. La mostra, con la costante presenza di Foletti, sarà aperta fino al 17 novembre.

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Paesaggio immaginari­o

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