‘Conta solo l’interesse collettivo’
Dimezzare un ‘ministro’? I ricordi di Gabriele Gendotti protagonista nelle due precedenti occasioni
I capigruppo chiedono al governo di far fare un passo indietro a Beltraminelli. Ma su cosa si riflette in questi casi e come si decise in passato?
L’ultima volta, undici anni fa. E non fu una scelta facile. Il governo, allora, decise (con quattro voti su cinque) di togliere la Divisione delle contribuzioni a Marina Masoni, direttrice del Dfe, coinvolta in quello che venne definito “Fiscogate”. Si era nel marzo 2006. Tre anni prima (ottobre 2003) la stessa sorte era toccata a Patrizia Pesenti, direttrice del già Dos (oggi Dss), perché si era rifiutata di approvare i tagli alla socialità. Una misura eccezionale che per la terza volta in Ticino torna a far capolino e in questa circostanza coinvolge Paolo Beltraminelli, direttore del Dss, per il caso “Argo 1”. Tutti i capigruppo (salvo il Ppd) nei giorni scorsi hanno invitato il governo a prendere in seria considerazione l’opportunità di togliere a Beltraminelli la direzione della Divisione dell’azione sociale e delle famiglie (Daf). A tutela delle istituzioni e dello stesso consigliere di Stato. Undici anni fa, quando la decisione coinvolse Marina Masoni, ci fu un suo collega – Luigi Pedrazzini – che giustificò la scelta per “gravi problemi di funzionamento alla Divisione delle contribuzioni”. Tanto bastò per chiedere alla collega liberale radicale un passo indietro. La Divisione in questione passò sotto la direzione di Gabriele Gendotti, consigliere di Stato dal 2000 al 2011.
Quali sono le considerazioni da fare in questi frangenti Gendotti, lei che li ha vissuti in ben due occasioni?
Premetto che non sono decisioni facili, proprio perché molto delicate. Ciò che conta in questi casi, comunque, è riflettere sull’interesse generale perché il consigliere di Stato è di fatto un magistrato. Qualsiasi misura che il Consiglio di Stato prende tiene sempre conto dell’interesse collettivo. Ciò detto, quelle due decisioni furono prese all’unanimità meno uno, vale a dire il collega coinvolto. Ricordo che per Pesenti vi era un clima di esasperazione, poi subito rientrato, mentre l’altro caso è stato più delicato. Si ritenne che quella soluzione fosse necessaria.
Fra le valutazioni immaginiamo vi sia anche quella che pondera il tasso di credibilità...
Beh. sono decisioni delicatissime. Peraltro quella riferita a Marina Masoni era legata anche a licenziamenti di funzionari, dunque provvedimenti dolorosi. In questo caso chi decide deve essere molto convinto della scelta e quest’ultima, a mio avviso, non può assolutamente essere condizionata da fattori non oggettivi. Poi si può sbagliare, ma la convinzione al momento è fondamentale.
Senza badare all’appartenenza politica, evidentemente...
In ogni caso. A questo proposito nel 2006 mi trovai in una situazione non certo facile, confrontato con la collega di partito.
Situazioni delicate anche perché si giudica un collega che non condivide per nulla il giudizio. In questi casi traballa la collegialità?
Ecco perché sostenevo che decisioni di questo tipo devono essere prese da quattro quinti del governo. Non può bastare la maggioranza tre a due perché significa compromettere il cammino che segue. Serve coralità, se non altro a conforto delle non poche notti d’insonnia precedenti alla scelta... Stare in governo comporta queste responsabilità.
Anche perché quando la situazione è critica e il Paese l’avverte come tale, si tratta di ridare credibilità alle istituzioni...
La decisione va presa perché ritenuta giusta, per fare chiarezza, e non tanto perché il cittadino se l’aspetta. Oltretutto permette alla persona coinvolta di sentirsi libera e non subire il condizionamento della contingenza.
Poi, chiuso il capitolo per quanto complicato, come si procede? Con quale spirito?
Beh, per noi la decisione sul Fisco contribuì a unirci molto; gli altri quattro hanno dovuto per forza di cose far quadrato e questo ci permise di marciare uniti sino alla fine della legislatura, rafforzando così l’esecutivo.