Un ponte di parole
Carlo Dionisotti e Giulia Gianella: lettere fra Londra e Bellinzona
Il grande professore emigrato a Londra e la docente bellinzonese, troppo presto scomparsa. Un carteggio lungo un trentennio, frutto della stima reciproca e di un’amicizia sincera, che si offre come lettura in controluce di un’ampia pagina di storia letteraria e politica, attraverso lo sguardo incrociato di un uomo e una donna di raro acume. Presentazione lunedì 4 dicembre alle 18 al Liceo di Bellinzona. È in libreria da pochi giorni un carteggio che non mancherà di suscitare interesse, non solo nei cultori di umane lettere, ma anche presso lettori comuni, studenti ed ex studenti delle scuole superiori del Ticino: lettere scambiate lungo un trentennio, tra Carlo Dionisotti, celebre storico della letteratura – e di cui, proprio nei giorni scorsi, è stato inaugurato a Lugano (all’Usi) un fondo librario di singolare importanza documentaria –, e Giulia Gianella, docente di italiano per lunghi anni, al Liceo di Bellinzona. A ridare la parola ai due corrispondenti è stato, anche questa volta, Ottavio Besomi, già editore del carteggio Dionisotti-Pozzi. Il curatore ha introdotto, trascritto e annotato puntualmente le settanta tra lettere e biglietti di Dionisotti, e le settantasei proposte o risposte di Giulia Gianella, messe generosamente a disposizione dalla figlia di Dionisotti, Carlotta, e dalla sorella dell’interlocutrice, Pia Gianella. Il volume esce presso le Edizioni del Cantonetto, dirette da Carlo Agliati, il quale sta continuando con impegno e intelligenza l’opera del padre. Un campo di interessi e di applicazione professionale di segno analogo, due statuti e due stature di proporzioni tanto diverse, tra il professore e l’insegnante ticinese, invitano a fornire qualche informazione preliminare a beneficio soprattutto di coloro che non hanno conosciuto l’uno o l’altro degli scriventi.
Un lungo ‘esilio’ londinese
Dionisotti è stato, anche a giudizio dei critici più autorevoli, il maggior storico della letteratura italiana del XX secolo. Torinese di nascita (1908) e di formazione, allievo di Ferdinando Neri, fu praticamente costretto ad emigrare a Londra, dopo che la congiuntura politico-accademica, nell’Italia a ridosso del Ventennio fascista, gli aveva sbarrato la strada di ogni impiego che corrispondesse alle sue competenze e ai suoi interessi (per non dire delle sue doti). Il convegno sulla sua opera, svoltosi a Lugano in questi giorni all’Università della Svizzera italiana, contribuirà a riattivare, anche qui da noi, l’interesse verso la figura di questo esimio studioso. In Inghilterra, egli ha insegnato (dal 1947) in qualità di lettore di italiano presso le Università di Oxford e di Londra; per decenni, fu anche professore di italiano nel londinese Bedford College, rimanendo tuttavia legato sempre all’Italia, verso cui andava inoltrando, anno dopo anno, libri ed articoli destinati a lasciare segni durevoli nella bibliografia critica sugli autori e sui testi della letteratura italiana, dal Quattrocento all’Ottocento. Le ‘sue’ case editrici contano tra le maggiori: Einaudi, Le Monnier, Storia e Letteratura, Olschki, Antenore, Il Mulino. I suoi titoli più noti: ‘Geografia e storia della letteratura italiana’, ‘Machiavellerie’, ‘Gli Umanisti e il volgare tra Quattro e Cinquecento’. Editore di Pietro Bembo e di Giovanni Guidiccioni, ha firmato saggi memorabili come ‘Chierici e laici’ e (testimonianza di suoi più ampi interessi) ‘Leonardo uomo di lettere’. Qui piace ricordare puntualmente ‘Nazionalismo e internazionalismo nella cultura italiana del Settecento’, presentato in forma orale anche agli studenti liceali di Bellinzona, con un esordio che serve citare per il piglio giovanile, ‘attualizzante’ e vivacissimo fin dalle prime righe: «Il campionato di calcio in Italia è stato vinto quest’anno (1980) da una squadra che si chiama Inter, cioè Internazionale Milano. Si chiama Inter la stessa ragione per cui l’altra periclitante squadra milanese si chiama Milan e non Milano, ecc.». Memorabile anche la sua formula di definizione della lettura approfondita: «Leggere importa aver letto», che sancisce il principio secondo cui i testi dei grandi autori, come quelli dei minori, possono essere capiti compiutamente solo attraverso un’attivazione memoriale dell’intero «sistema letterario» .
A Roseto fra cavoli e re
Giulia Gianella ha conosciuto Carlo Dionisotti grazie al suo maestro di studi, padre Giovanni Pozzi, ordinario di letteratura italiana a Friburgo e amico del professore di Londra. Bellinzonese di nascita, ha conseguito il dottorato in Lettere, con un lavoro di edizione e di commento sopra le rime di Felice Feliciano, quattrocentista veronese; è autrice anche di un importante capitolo scritto a quattro mani con lo stesso Pozzi per la ‘Storia della cultura veneta’. Negli anni dal Sessanta al Settanta, approfittando delle vacanze estive Pozzi organizzò, a più riprese, dei seminari specialistici che si svolgevano in Ticino, nella sede più impensata, Roseto-Val Bavona. Il sodalizio di Dionisotti con Giulia Gianella (e con altri studenti o studiosi di lettere ticinesi, primo fra tutti Ottavio Besomi) ebbe inizio proprio lì. Più tardi, l’amicizia si rinsaldò nei semestri in cui l’ex studentessa, divenuta nel frattempo docente liceale nella sua città, fu richiamata a Friburgo come assistente di Pozzi. Nel frattempo, era uscita a Padova una miscellanea di studi in onore di Dionisotti, insieme ad un’altra importante, pubblicata a Milano da allievi di Dante Isella, alcuni dei quali divenuti poi ottimi colleghi di Giulia nel settore scolastico medio superiore, qui da noi. Giulia Gianella fu la principale animatrice della prima di queste due pubblicazioni. A sancire definitivamente l’amicizia e la stima reciproca giunse, nel 1988, la pubblicazione del volume di saggi sull’Ottocento italiano, ‘Appunti sui moderni’, composto da Dionisotti per il Mulino: «Dedico il libro, tardo pegno di riconoscenza e di affetto, a Giulia Gianella di Bellinzona e con lei agli amici tutti della Svizzera Italiana che mi hanno aiutato a passare, avanti e indietro, la frontiera. Non soltanto quella che divide la Confederazione dalla Repubblica. Insieme, abbiamo discusso allegramente di cose che ci stavano a cuore, di cabbages and kings, e sempre abbiamo concluso in allegria le nostre contese». Bene ha fatto, dunque, Ottavio Besomi a promuovere la formula in inglese, a titolo del carteggio: ‘Di cavoli e di re’, per indicare l’alternanza anche casuale di scambi leggeri – a volte persino un po’ pettegoli – e di discorsi profondi.
Conforme a coscienza
Ci si consenta ora di dare spazio a un consiglio di lettura, quanto meno inabituale: per parte nostra, suggeriamo di percorrere il libro non dall’inizio, ma a partire dagli anni Settanta inoltrati: infatti, gli scambi precedenti sono principalmente di carattere pratico e, soprattutto, appaiono (sul versante Gianella) molto condizionati dalla stima reverenziale verso l’autorità scientifica di Dionisotti: la giusta coscienza della propria posizione subalterna frenava nell’interlocutrice quello slancio digressivo e quelle aperture di discorso che, in seguito, saranno quasi abituali. Gli ultimi tempi sono effettivamente improntati ad uno scambio più libero e quasi paritario: «Padre Pozzi, come di solito, mi ha accusato di essere un’infedele poiché non credevo all’esistenza di angeli informatori. Continuo a non credere agli angeli e soprattutto a dubitare che siano al servizio di Dionisotti. Donna di poca fede volterriana! L’arrivo di Raimondi (per la prima volta a Bellinzona) mi ha fatta grandissi- mo piacere, poiché, da quando Lei ci ha abbandonati, non c’era più venuto nessun ‘dotto’ che veramente m’interessasse. Purtroppo con Raimondi non sono abbastanza ‘intima’ da potermelo portare a casa sottraendolo alla curiosità di tutti i colleghi» (lett. 90 a p. 154). Quando si passa ad argomenti gravi, anche lo stile cambia – da una parte e dall’altra –, per farsi profondamente analitico. In questo senso, la sequenza che scandaglia le polemiche sorte in Italia sulle posizioni politiche di Cesare Pavese (pp. 210 e ss.), oppure quella sulle rivelazioni ultime relative alla morte violenta di Giovanni Gentile pp. 158 e ss.), toccano punte di rara e penetrante analisi storico-critica: «A proposito di madeleines, un incentivo l’ho trovato sulla Stampa, dove ho visto, trattato più distesamente, l’affare dei Taccuini segreti che Pavese scriveva alle spalle dei suoi migliori nemici» (lett. 130, p. 213, scritta da Giulia G.); «Cara Giulia, ho consentito alla riesumazione di quell’articolo su Gentile, perché credo che sia difficile oggi, e però utile, capire gli eventi di 40 e più anni fa. Sono eventi, non soltanto remoti, ma anche avversi – le generazioni successive li hanno, inevitabilmente, rifiutati... La bomba atomica è stata, ed è, inaccettabile... Il caso mio e dei superstiti di quel tempo, dei mal vivi o viventi abusivi, è diverso: la nostra misura era già colma allora; in seguito poco abbiamo potuto aggiungere, poco e di mala voglia paragonare. La partita che ci era toccato giocare nel mezzo del cammino si era conclusa con Piazza Loreto. Il seguito, atomica inclusa, non ci toccava più direttamente. È difficile oggi capire questo» (lett. 94, a p. 160). «Carissimo professore,… la vita ci ha fatto conoscere troppi superstiti (e anche uomini ‘nuovi’, intendiamoci) inclini a ‘sfuggire all’impegno rischioso di una presa di posizione conforme a coscienza’, adattabili al compromesso, riluttanti al decisivo contrasto e, figuriamoci, al sacrificio. Se si fossero fatti fuori tutti gli opportunisti e gli ottimisti sistematici, mi dice in quanti sareste rimasti a popolare la vecchia Europa?» (lett. 65 a p. 163).
‘Distrugga questa lettera’
Come indicano – se non ci inganniamo – questi pochi passi scelti, ‘Cabbages and kings’ gratificherà sia i letterati puri, sia gli storici, sia i semplici lettori. E, con questo, riprendiamo il libro dall’inizio: la Premessa e l’Introduzione del curatore danno conto dei nodi strutturali e degli interrogativi sollevati dal carteggio come tale, oltre che delle allusioni e implicazioni sottintese, che solo un protagonista di quella storia accademica e scolastica, anche minuta, avrebbe potuto fornire compiutamente. E Besomi fu uno di loro, stimato dall’una e dall’altro corrispondente. La Premessa affronta soprattutto un ostacolo oggettivo, rappresentato da certe implorazioni di Giulia Gianella: «Se lei mi promette, seduta stante, di distruggere questa lettera…» (p. 214), «scrivo una delle solite lettere squinternate e divaganti che Lei ha la pazienza di leggere (almeno spero), ma che dovrebbe radiare dal suo archivio personale, unico luogo in cui temo di essere consegnata al vituperio dei posteri» p. 158 ecc.), spesso accompagnate anche dalla raccomandazione di non rispondere. Ovviamente, il destinatario non ha dato seguito a queste quasi rituali richieste di oblio (come è accaduto anche per certi carteggi tra grandi: «Le mie lettere sono fatte per essere bruciate», proclamava Dino Campana, scrivendo a Sibilla Aleramo). L’Introduzione si articola attorno alle tematiche principali ed è organizzata su cinque paragrafi numerati che potrebbero intitolarsi : 1. Generalità; 2. Dionisotti e il Ticino; 3. Tra pubblico e privato; 4. Echi letterari; 5. Gentile, il Fascismo e la Resistenza. Segue l’indispensabile Nota al testo che ragguaglia sui dati positivi e sulle lacune: alcune lettere, infatti, come quasi sempre accade, sono andate perse e, oggi, ce ne duole. Ci si può davvero rallegrare, invece, dell’elegantissima veste tipografica del libro, impreziosito da una serie di rare fotografie provenienti da archivi privati; e da un’Appendice non meno preziosa, che reca alcune lettere di Giovanni Pozzi a Giulia Gianella e lo scritto politicamente impegnato di Dionisotti (risale al 1944, anno della morte violenta del filosofo) su Giovanni Gentile.