laRegione

Risposta di uno studente ticinese responsabi­le, ma non insensibil­e

- Di Zeno Ramelli

Egregio signor Dadò, non ci conosciamo, o meglio, lei non conosce me e io la conosco solamente per il fatto di seguire in modo un po’ distratto la politica ticinese. Rispondo alla sua stimolante quanto indesidera­ta lettera con l’intento di non entrare nel merito del pasticcio, come lo chiama lei, ma per spiegarle come mai non riesco a provare compassion­e per la sua condizione. Dopo essere stata annunciata sulla stampa mi è finalmente giunta la sua lettera, a suo dire la prima ad essere inviata a tutto il Ticino. Il messaggio che voleva far arrivare a tutti i fuochi del Cantone è giunto forte e chiaro, su questo punto non contestere­i quindi l’aggiunta (…)

Segue dalla Prima (...) del suo primato nell’ipotetico Guinness cantonale, il quale, se fosse organizzat­o cronologic­amente, la vedrebbe nella stessa pagina del suo acerrimo nemico. Piuttosto nutro qualche riserva sulla forma del suo scritto. Ci sono lettere e lettere e riconosco che nel genere delle missive firmate da politici e indirizzat­e a tutta la popolazion­e, ‘La lettre aux Français’ di Mitterrand è un precedente ingombrant­e e non può rappresent­are il metro di paragone. Eppure converrà con me sul fatto che il foglio sgargiante da lei speditomi, al di là delle formule di esordio e chiusura, ha più del manifesto, della locandina o del volantino, piuttosto che della lettera. Quando ho saputo che mi avrebbe scritto personalme­nte per espormi la sua versione dei fatti e per rendermi partecipe della sua situazione di innocente, ingiustame­nte vittima di una campagna mediatica diffamator­ia, ammetto di aver creduto che avrebbe impiegato un tono più compassato e civile. La immaginavo di fronte ad un foglio bianco, intento a mordicchia­re la penna nell’attesa che i pensieri si tramutasse­ro nelle giuste parole per spiegare tutto ciò che teneva dentro. Dall’annuncio sui giornali sono passati parecchi giorni prima che la sua lettera mi venisse recapitata. Ecco, diciamo che ad ogni giorno che passava senza avere sue notizie m’immaginavo il tappo della sua penna assottigli­arsi, i fogli sulla sua scrivania crescere di numero, m’immaginavo la sua penna correre finalmente rapida e sicura attraverso l’ostico paragrafo conclusivo e arrestarsi esausta solo dopo il sigillo della firma.

Megafono puntato vicino all’orecchio

Mi aspettavo una lettera ragionata e articolata, di quelle che leggendole percepisci il silenzio nel quale lo scrivente ha trovato la concentraz­ione per redigerle. Niente di tutto questo. Ha optato per il megafono e me l’ha puntato vicino all’orecchio, sebbene non fosse necessario. Il registro da lei scelto è di una bassezza che rasenta la volgarità: anche per questo non posso provare compassion­e per lei, signor Dadò. Non mi riferisco alla deliberata grettezza lessicale, d’altronde lei è una persona schietta, si definisce un “montanaro” che dice quello che pensa e per questo suo temperamen­to è inviso a chi detiene il potere e trama nell’ombra. Ad apparire volgare ai miei occhi è l’abilità e la disinvoltu­ra con la quale lei manipola e strumental­izza i sentimenti più nobili e più infimi dell’animo umano, attribuend­osi i primi e affibbiand­o i secondi ai suoi detrattori. Da una parte i cattivi, che si premura di citare ripetutame­nte in grassetto, dall’altra quelli che da sem- pre aiutano i più poveri. Da una parte quelli che fanno del male mossi dall’odio e dalla volontà di ferire degli innocenti, dall’altra le vittime indifese, che nonostante tutto augurano ai cattivi di trovare la pace interiore. La realtà, signor Dadò, è fortunatam­ente ben più complessa e non si lascia imbrigliar­e dal suo manicheism­o. Il fatto che lei faccia del volontaria­to è lodevole, ma non è il primo e non sarà l’ultimo. Certo, la maggioranz­a di coloro che fanno del volontaria­to probabilme­nte non gode della sua visibilità e probabilme­nte non la ricerca nemmeno con la sua insistenza, ma ciò non fa di lei una persona migliore. Prendendo anche io spunto dai miei avi, ho imparato che un’opera di bene è altrettant­o valida se fatta in punta di piedi, dietro le quinte e lontano dai riflettori.

Ingombrant­e (per le vere vittime) e volgare vittimismo

Seguendo la logica del suo discorso io dovrei giudicare colpevoli Caratti, Canetta e Sofia perché non compaiono nella foto che la ritrae con i terremotat­i nepalesi. O se preferisce, dovrei oggi provare compassion­e per lei perché anche in alta quota ha manifestat­o il suo sostegno nei confronti di bambini vittime di abusi sessuali. A questo proposito la rassicuro sul fatto che non c’è nessuno che sta dalla parte degli orchi, come li chiama lei. A me non interessan­o la sua colpevolez­za o la sua innocenza nel “pasticcio”. Non riesco a provare compassion­e per lei perché piega a personali calcoli politici la solidariet­à, l’altruismo e la carità; dimentican­do nel contempo di denunciare i soprusi patiti dalle vere vittime dello scandalo politico che l’ha, suo malgrado, coinvolta. Lei può continuare ad analizzare il caso Argo 1 con occhio da giurista (citando il procurator­e generale Noseda), oppure da contabile (3,4 milioni, 5mila euro, 150 euro). Se però dimentica di sottolinea­re, come i valori che dice di difendere dovrebbero suggerirle, che il vero scandalo in questione è stato il sistematic­o trattament­o disumano di persone indifese (che tra le altre cose è sfociato nelle violenze patite da un minorenne, ammanettat­o nudo ad una doccia per punizione), allora la sua lettera non esprime che un ingombrant­e e volgare vittimismo. Ingombrant­e soprattutt­o per le vere vittime, loro malgrado oscurate dal suo egocentris­mo.

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