Tra identità e apartheid
Gerusalemme – Il quaranta per cento della popolazione di Gerusalemme è composto da palestinesi. In che modo Israele sarà conseguente con la pretesa sovranità sull’intera città: espellendoli, riconoscendone la cittadinanza e dunque i diritti? Senza stare a stracciarsi le vesti per l’iniquità della decisione statunitense, Nir Hasson, sul quotidiano israeliano ‘Ha’aretz’, ha posto la questione in temini molto pragmatici ma politicamente cruciali. Ed è solo il caso di rilevare che la si potrebbe estendere all’intero territorio su cui lo Stato di Israele esercita una sovranità legittima e su quello che occupa: se cioè l’occupazione è di fatto irreversibile e prelude al seppellimento definitivo della “soluzione due Stati”, come invitano ad ammettere i “realisti”, Israele riconoscerà a tutti gli abitanti di quelle terre il diritto alla cittadinanza, o imporrà un sistema di apartheid di cui già si riconoscono i segnali? Si sa: l’argomento avanzato da chi non intende riconoscere i diritti di cittadinanza ai palestinesi assoggettati è che in questo modo verrebbe compromessa la natura di “Stato ebraico” di Israele. E in senso stretto è vero, anche se si potrebbe obiettare che la “purezza” etnica/culturale di uno Stato – pur considerando il tragico retaggio storico associato alle ragioni della nascita di Israele – è un concetto che dovrebbe fare orrore. Tantopiù in uno Stato come Israele che fondatamente ha a lungo rivendicato di essere la sola democrazia nella regione. Ma, ha osservato Hasson, alle proprie contraddizioni non si sfugge, se non a spese di altri. E dunque: “Israele è preparato a pagare il prezzo reale di una Gerusalemme unificata? Il costo non è una vacua dichiarazione [di Trump] o una maggiore presenza di polizia nella città vecchia. Il prezzo è la concessione della cittadinanza a 320mila palestinesi che vi abitano”. D’altro canto, concederla, affosserebbe definitivamente la “soluzione due Stati”, ma richiederebbe a Israele “di affrontare l’altra questione: se concedere la cittadinanza ai milioni di palestinesi residenti nella West Bank e a Gaza”. Per questo, ha considerato Hasson, l’annuncio di Trump potrebbe rivelarsi “una buona notizia”, avvicinando il giorno in cui Israele dovrà prendere una decisione. Resta la questione del “prezzo”, naturalmente.