Sciolti i dubbi nel freddo glaciale
Non ci sono né vinti né vincitori nella nuova guerra fredda (anzi glaciale, siccome in questo caso è di ghiaccio che si parla): da una parte la Russia, dall’altra il resto del mondo. Di nuovo, e sostanziale, c’è però il passo di lato di Vladimir Putin, che – un po’ a sorpresa, bisogna ammetterlo – decide di non ostacolare la presenza degli sportivi russi in Corea in qualità di atleti neutrali. Tradotto: che lo facciano pure senza bandiere né inni, l’importante è che in qualche modo ai Giochi la Russia ci sia. E, dopo aver ammesso che «il pretesto per quella squalifica l’ha creato proprio la Russia», è altamente probabile che il presidente abbia preso la sua decisione aggrappandosi all’acronimo Oar, ovvero ‘Olympic Athlete from Russia’, cioè la sigla che contraddistinguerà gli atleti russi ai Giochi. In cui, appunto, il sostantivo Russia c’è. Tanto basta ad appagare gli appetiti patriottici. E pure sportivi, visto che di quello si tratta. Se lo sport russo prima di decidere aveva bisogno di un ambasciatore, l’ha indirettamente trovato in Ilya Kovalchuk. Il trentaquattrenne attaccante dello Ska San Pietroburgo, che in Patria è figura di culto al pari di un Alexander Ovechkin, era sceso in campo qualche ora prima del discorso di Putin, qualificando come «scontato e puramente politico» il ‘niet’ del Cio, aggiungendo che «non andare alle Olimpiadi è come arrendersi: tutti gli atleti russi puliti in Corea ci devono essere». Con un endorsement del genere difficile che la questione possa finire diversamente, nonostante sul torneo di hockey – lo sport più amato in Russia – gravi da tempo la minaccia della Khl, che a più riprese ha spaventato René Fasel e l’Iihf, minacciandoli di non liberare i ‘suoi’ canadesi, americani, svedesi e compagnia bella nel caso in cui il bando olimpico dovesse chiudere i giocatori russi fuori dalla porta. Rappresaglia che il presidente friborghese della Federhockey internazionale aveva sì bollato come ‘illegale’, ma di cui certamente non poteva infischiarsi. Non, specialmente, dopo la sberla incassata dalle franchigie nordamericane, per motivi ancor meno nobili (questo ci sia concesso, dato che Gary Bettmann e i suoi accoliti hanno sempre messo l’aspetto finanziario davanti a tutto): l’Iihf non avrebbe semplicemente potuto permettersi un torneo olimpico senza l’assenso dei due campionati più attrattivi (e seguiti) del pianeta. E adesso, dopo le parole di Putin, mal si vede come il torneo di Pyeongchang possa aver luogo senza il meglio del pianeta hockey all’infuori della Nhl. Per la gioia di un po’ tutti. Dagli sportivi da divano in su.