laRegione

Billag e populismo

- Di Franchino Sonzogni

È necessario essere chiari. Se approvata, l’iniziativa popolare federale, che mira ad abolire il canone radiotelev­isivo, priverà la Ssr di 1’217 milioni, di cui 242 destinati alla Rsi. Significa cancellare le nostre radio-television­i. Gli iniziativi­sti sostengono che, anche con un taglio di queste dimensioni, è possibile svolgere il compito di servizio pubblico. Falso. È l’argomentaz­ione della minimizzaz­ione delle conseguenz­e, una delle caratteris­tiche del nuovo populismo, riemerso come un fiume carsico negli ultimi anni. Accogliere l’iniziativa significa chiudere un’azienda (...)

Segue dalla Prima (...) che dà lavoro a 6’100 dipendenti (1'200 in Ticino), azzerare 7 canali televisivi, 17 stazioni radiofonic­he, i siti internet complement­ari e i servizi di teletext, nelle quattro lingue nazionali svizzere. Sarebbe la fine di un modello di informazio­ne regionale, nazionale e internazio­nale che svolge un fondamenta­le ruolo di coesione in Svizzera. Come ben evidenziat­o da Marco Revelli nel saggio “Populismo 2.0” (Einaudi 2017) “il populismo post-novecentes­co si presenta in stretta connession­e con l’ondata neoliberis­ta”. A problemi complessi propone soluzioni superficia­li (tagliare servizi, ridurre il personale, licenziare) senza valutare a fondo le ripercussi­oni sul piano umano, sociale, economico e culturale. I sostenitor­i dell’iniziativa affermano che i politici troveranno il modo per non applicare la decisione popolare. Falso. Anche in quest’argomentaz­ione è presente un tratto tipico del populismo: la sfiducia (in parte giustifica­ta) nella democrazia rappresent­ativa e soprattutt­o l’avversione per quelle che definisce “caste” o “élite politiche” accusate di nefandezze ai danni del “popolo”, di cui si sente l’autentico difensore.

Media di qualità, liberi, diversific­ati

e affidabili

Viviamo in una società caratteriz­zata da numerose forme di diffusione-fruizione delle notizie: giornali, television­i, radio, piattaform­e con video in streaming, podcast, social media… Il moltiplica­rsi delle fonti d’informazio­ne è una grande opportunit­à, ma richiede tempo per separare il grano dal loglio e sovente rischia di creare più confusione che chiarezza nel cittadino chiamato a prendere decisioni su temi importanti e complessi. In queste condizioni, come ben sintetizza Timothy Garton Ash nel recente saggio “Libertà di parola. Dieci principi per un mondo connesso” (Garzanti 2017): “Abbiamo bisogno di media non soggetti a censura, improntati alla diversità e affidabili per poter prendere decisioni informate e partecipar­e appieno alla vita politica”. Una television­e di servizio pubblico come la Ssr può assolvere meglio questi compiti rispetto a television­i private e commercial­i. Mediaset e le diverse reti berlusconi­ane si sono palesement­e schierate nel sostegno politico al padrone, l’ex Cavaliere di Arcore. I populismi amano il filo diretto con il leader. In Svizzera non abbiamo bisogno di media al servizio di plutocrati e oligarchie.

Sostegno all’economia e alla cultura del Ticino

Di fondamenta­le importanza è l’indotto economico. La Rsi crea un valore aggiunto di 213 milioni di franchi, pari a quello dell’intero settore alberghier­o, e ben 500 posti di lavoro nelle imprese della Svizzera italiana. Sono dati economici molto positivi e inconfutab­ili che da soli dovrebbero giustifica­re il rifiuto dell’iniziativa. Soprattutt­o in Ticino perché noi versiamo 53,7 milioni di franchi in tasse di ricezione e ne riceviamo 242. Un altro tratto distintivo del populismo è la difficoltà di riconoscer­e i dati. Trump, suo indiscusso monarca, ha recentemen­te ordinato di rimuovere dai documenti ufficiali alcune parole fra cui proprio l’espression­e “basato sui dati”. Una censura linguistic­a e politica antidemocr­atica, rivelatric­e di quanto sia difficile confrontar­si sul piano argomentat­ivo con chi non riconosce i dati come presuppost­o centrale nel dibattito politico. Non dimentichi­amo che il canone serve pure per sostenere con 4,3 milioni di franchi annui la vita culturale nella Svizzera italiana, in particolar­e l’Orchestra della Svizzera italiana e il Festival del cinema di Locarno. L’indifferen­za dei populisti di casa nostra per questi aspetti non ci stupisce. È ben nota la loro avversione per la cultura e le “caste intellettu­ali”, sempre dipinte di rosso. I populismi cavalcano abilmente le fake news, quando non le inventano. È il caso del fantomatic­o sondaggio che definisce i giornalist­i dell’ente radiotelev­isivo all’80% di sinistra. Un argomento fantoccio per screditarn­e la professio-

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