Billag e populismo
È necessario essere chiari. Se approvata, l’iniziativa popolare federale, che mira ad abolire il canone radiotelevisivo, priverà la Ssr di 1’217 milioni, di cui 242 destinati alla Rsi. Significa cancellare le nostre radio-televisioni. Gli iniziativisti sostengono che, anche con un taglio di queste dimensioni, è possibile svolgere il compito di servizio pubblico. Falso. È l’argomentazione della minimizzazione delle conseguenze, una delle caratteristiche del nuovo populismo, riemerso come un fiume carsico negli ultimi anni. Accogliere l’iniziativa significa chiudere un’azienda (...)
Segue dalla Prima (...) che dà lavoro a 6’100 dipendenti (1'200 in Ticino), azzerare 7 canali televisivi, 17 stazioni radiofoniche, i siti internet complementari e i servizi di teletext, nelle quattro lingue nazionali svizzere. Sarebbe la fine di un modello di informazione regionale, nazionale e internazionale che svolge un fondamentale ruolo di coesione in Svizzera. Come ben evidenziato da Marco Revelli nel saggio “Populismo 2.0” (Einaudi 2017) “il populismo post-novecentesco si presenta in stretta connessione con l’ondata neoliberista”. A problemi complessi propone soluzioni superficiali (tagliare servizi, ridurre il personale, licenziare) senza valutare a fondo le ripercussioni sul piano umano, sociale, economico e culturale. I sostenitori dell’iniziativa affermano che i politici troveranno il modo per non applicare la decisione popolare. Falso. Anche in quest’argomentazione è presente un tratto tipico del populismo: la sfiducia (in parte giustificata) nella democrazia rappresentativa e soprattutto l’avversione per quelle che definisce “caste” o “élite politiche” accusate di nefandezze ai danni del “popolo”, di cui si sente l’autentico difensore.
Media di qualità, liberi, diversificati
e affidabili
Viviamo in una società caratterizzata da numerose forme di diffusione-fruizione delle notizie: giornali, televisioni, radio, piattaforme con video in streaming, podcast, social media… Il moltiplicarsi delle fonti d’informazione è una grande opportunità, ma richiede tempo per separare il grano dal loglio e sovente rischia di creare più confusione che chiarezza nel cittadino chiamato a prendere decisioni su temi importanti e complessi. In queste condizioni, come ben sintetizza Timothy Garton Ash nel recente saggio “Libertà di parola. Dieci principi per un mondo connesso” (Garzanti 2017): “Abbiamo bisogno di media non soggetti a censura, improntati alla diversità e affidabili per poter prendere decisioni informate e partecipare appieno alla vita politica”. Una televisione di servizio pubblico come la Ssr può assolvere meglio questi compiti rispetto a televisioni private e commerciali. Mediaset e le diverse reti berlusconiane si sono palesemente schierate nel sostegno politico al padrone, l’ex Cavaliere di Arcore. I populismi amano il filo diretto con il leader. In Svizzera non abbiamo bisogno di media al servizio di plutocrati e oligarchie.
Sostegno all’economia e alla cultura del Ticino
Di fondamentale importanza è l’indotto economico. La Rsi crea un valore aggiunto di 213 milioni di franchi, pari a quello dell’intero settore alberghiero, e ben 500 posti di lavoro nelle imprese della Svizzera italiana. Sono dati economici molto positivi e inconfutabili che da soli dovrebbero giustificare il rifiuto dell’iniziativa. Soprattutto in Ticino perché noi versiamo 53,7 milioni di franchi in tasse di ricezione e ne riceviamo 242. Un altro tratto distintivo del populismo è la difficoltà di riconoscere i dati. Trump, suo indiscusso monarca, ha recentemente ordinato di rimuovere dai documenti ufficiali alcune parole fra cui proprio l’espressione “basato sui dati”. Una censura linguistica e politica antidemocratica, rivelatrice di quanto sia difficile confrontarsi sul piano argomentativo con chi non riconosce i dati come presupposto centrale nel dibattito politico. Non dimentichiamo che il canone serve pure per sostenere con 4,3 milioni di franchi annui la vita culturale nella Svizzera italiana, in particolare l’Orchestra della Svizzera italiana e il Festival del cinema di Locarno. L’indifferenza dei populisti di casa nostra per questi aspetti non ci stupisce. È ben nota la loro avversione per la cultura e le “caste intellettuali”, sempre dipinte di rosso. I populismi cavalcano abilmente le fake news, quando non le inventano. È il caso del fantomatico sondaggio che definisce i giornalisti dell’ente radiotelevisivo all’80% di sinistra. Un argomento fantoccio per screditarne la professio-