Wall Street, l’esuberanza continua e contagia le altre borse!
Da quando, un mese fa, una benevola Goldman Sachs aveva battezzato ‘esuberanza razionale’ il comportamento di Wall Street, la borsa americana è salita quasi del 5%: ossia la metà di quanto la stessa banca s’aspettava per l’intero 2018. In questo scorcio del nuovo anno si direbbe che l’esuberanza si sia accresciuta e abbia ecumenicamente interessato tutte le altre borse, Tokyo in testa, e quasi tutte le materie prime: compreso l’oro, che di solito non ama muoversi in compagnia delle attività finanziarie più rischiose. Se si chiede ai gestori di hedge fund internazionali, quelli stessi che avevamo trovato dubbiosi non più tardi di due o tre mesi fa, molti di loro ti rispondono che abbiamo davanti almeno tre anni di mercati Toro sulle borse mondiali: come se fossimo nelle condizioni del 2004, precisano alcuni. Una crescita economica più forte del previsto e apprezzabile in tutto il mondo, un’inflazione così bassa da rendere ancora espansiva la politica monetaria, il taglio delle tasse in America con le sue benefiche ricadute sugli utili delle società, il dollaro in continua discesa, con positivi risvolti sulle economie emergenti, e la generalizzata ripresa della spesa per investimenti fanno credere che lo scenario idilliaco tracciato nel 2017 sia destinato a proiettarsi in un futuro ragionevolmente lungo.
Può darsi che tanta esuberanza sia normale nei primi giorni del nuovo anno perché funziona l’effetto gennaio: e si dice che, se le borse crescono nel primo mese dell’anno, le ritroveremo ancor più alte a dicembre
Gli indicatori macro degli ultimi giorni, dagli indici manifatturieri a quelli dei servizi in Eurozona, Cina e Stati Uniti ne sarebbero la conferma. Come spesso succede nelle fasi d’esuberanza, si minimizzano i rischi: le alte valutazioni dei titoli azionari, specie a New York, e la crescita dell’inflazione, che potrebbe accelerare il processo di normalizzazione delle politiche monetarie e dunque far salire i rendimenti obbligazionari. L’uscita dai quantitative easing, che tanto avevano entusiasmato i mercati dal 2009 in poi, non desta alcuna preoccupazione. Eppure la liquidazione di titoli di stato e di bond diverrà consistente quest’anno in America e anche la Bce potrebbe cessare gli acquisti di titoli prima del previsto, se le cose dovessero davvero andar così bene come le si descrive. Può darsi che tanta esuberanza sia normale nei primi giorni del nuovo anno perché, come ricordano gli operatori, funziona l’effetto gennaio: e si dice che, se le borse crescono nel primo mese dell’anno, le ritroveremo ancor più alte a dicembre. Ma, dopo aver cavalcato felicemente anche il tradizionale “rally” di Natale e le diverse evenienze positive che la statistica assegna ai vari mesi dell’anno, non si comprende come Wall Street non abbia invece scontato le avversità che si profilerebbero dopo maggio o le calamità di ottobre.
Corsa ininterrotta da 14 mesi
La realtà è che la borsa americana prosegue una corsa pressoché ininterrotta da 14 mesi, senza correzioni degne del nome, come mai s’era visto in passato. Di questo passo il traguardo dei 2’850 punti dell’indice S&P, come aveva pronosticato Goldman Sachs, è ormai dietro l’angolo e forse sarebbe il momento di chiedersi quanta razionalità stia in tutta questa euforia. Probabilmente Wall Street continua a salire perché tanti piccoli investitori, dopo il lungo scetticismo seguito all’ultima grande recessione, hanno riscoperto il bello delle azioni. E l’hanno fatto attraverso gli Etf, come si deduce dai flussi: 470 miliardi di dollari entrati nelle gestioni passive nel 2017, quasi il doppio dell’anno precedente. Curioso che un fondo specializzato in investimenti alternativi, in questo caso sui derivati della cannabis, abbia in 5 sedute aumentato l’attivo di 13 volte (da 5 a 80 milioni). Quando arrivano a frotte i piccoli investitori è spesso il segno di un ciclo che rischia di implodere. Se siamo prossimi a una nuova bolla speculativa, lo capiremo nei prossimi mesi e la spia che ci farà comprendere se questa esuberanza diverrà irrazionale sarà proprio il ritmo di crescita dell’S&P o del Nasdaq. Jeremy Grantham, fondatore e gestore di Gmo, uno dei pochi ad aver lucidamente previsto il crack del 2000 e del 2007-08, afferma che il «miglior indicatore di una bolla speculativa, ancor più attendibile delle pure valutazioni, è in realtà l’accelerazione dei prezzi». È quello che di solito succede nel parossismo degli ultimi 2024 mesi di un ciclo di borsa.