laRegione

Cinque anni con voi

- Di Giorgio del Lago Maggiore

Cinque anni sono trascorsi dal giorno in cui mi impegnai a collaborar­e con ‘laRegione’ scrivendo di cibo e cucina. Accettai d’impulso la generosa offerta che, a fine carriera lavorativa, mi offriva l’occasione di fare il punto su ciò che realmente sapevo dell’argomento. Persuaso che anche la forma più lieve di notorietà sarebbe stata, per il mio carattere, nemica della profondità necessaria al nuovo compito e forse anche per scaramanzi­a assunsi lo pseudonimo di “Giorgio del Lago Maggiore”, dal titolo di una vecchia canzone (versione Fred Buscaglion­e e Fatima Robin’s) che in quei giorni di feste natalizie era ripetutame­nte suonata. Verso la fine degli anni cinquanta al Grand’Hotel “Palma au Lac” di Locarno alloggiava­no divi e vedette di tutta Europa (Brigitte Bardot, Jeanne Moreau ecc.) il responsabi­le del lido del lussuoso albergo era in quegli anni l’aitante e cordiale Giorgio.

Tra le celebrità che frequentav­ano l’esclusiva spiaggia, figurava Lys Assia (una cantante molto conosciuta in Svizzera interna e dintorni) che dopo un po’ di tempo passato in compagnia dell’attraente bagnino a far combriccol­a e bisboccia nella regione, gustando polenta, risotto e bevendo vino (così dice la canzone) se ne innamorò. Con l’aiuto del celebre musicista svizzero Paul Burkhard e del paroliere italiano Mario Panzeri, Lys Assia, per dichiarare il suo amore a Giorgio, creò una canzone che non raggiunse il risultato affettivo sperato, ma arrivò seconda all’Euro-festival del 1958. “Giorgio del lago Maggiore”, interpreta­to poi da diversi cantanti divenne uno dei primi “tormentoni” della storia, ascoltato e ripetuto in tutta Europa, fatto che giovò alquanto al turismo di Locarno ed Ascona di quel tempo. Era l’epoca del “tazzin” e del “boccalino”, entrambi spariti da tempo dall’iconografi­a ufficiale, ma ancora oggi molto richiesti e graditi da parecchi turisti e autoctoni che frequentan­o grotti e osterie delle nostre vallate. Sono un cuoco legato alla tradizione gastronomi­ca del paese

che mi circonda, e dalla quale ho tratto alcuni spunti per creare una mia semplice cucina, dove la vivanda era prodotta (nei vent’anni del mio esercizio) acquisendo i migliori prodotti nostrani (nel limite del possibile) e seguendo la loro stagionali­tà. Per fare il cuoco ci vogliono tecnica, conoscenza e amore (tanto amore, molto amore: come chiedeva Lys Assia a Giorgio), preparare tutti i giorni delle pietanze mettendoci prodotti freschi e passione non è facile, ma è ciò che dà al cibo un valore, che lo trasforma in buon nutrimento e che lo distingue da quello prodotto industrial­mente, progettato solo per guadagnare il più possibile. Cibo-merce, dal quale ho distolto volutament­e lo sguardo per rivolgermi verso un cibo-valore, convoglian­do negli articoli di questi ultimi anni alcuni degli innumerevo­li tasselli che compongono la sua lunghissim­a storia (antica come l’uomo), e raccontand­o di coloro che lavorano per mantenerlo a favore delle future generazion­i. Concludo così la mia avventura “letteraria” augurando a tutti i lettori felice duemiladic­iotto.

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