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Di metri arbitrali e scelte tecniche

- Di Dario ‘Mec’ Bernasconi

Non abbiamo parlato degli arbitri sino a oggi se non per segnalarne una certa positività. Però non possiamo esimerci dal definire per lo meno stucchevol­e l’arbitraggi­o visto in Massagno-Neuchâtel. Il fallo tecnico dato da Sani a Bavcevic ha lasciato tutti basiti. Proprio perché il vulcanico allenatore era stato di tutto fuorché vulcanico e aveva avuto un comportame­nto normale per un coach. Poi ne è arrivato un secondo – pare per un commento salace – che gli è costato l’espulsione, seguito da quello a Maruotto per proteste. Quando si arbitra bisognereb­be anche saper chiudere un occhio (o un orecchio), capendo che certi sfoghi fanno parte della natura agonistica.Così come le richieste di Maruotto, seppur un po’ oltre le righe, potevano essere rimesse a posto in altro modo. Ai più è sembrato un “accaniment­o” nei confronti di Bavcevic, colpevole del burrascoso passato a Monthey la scorsa stagione, al quale si vuol concedere meno rispetto ad altri allenatori, ben più plateali nelle rimostranz­e. Staremo a vedere i prossimi “metri” arbitrali per fare due più due. Con un sospetto che nasce dall’arbitraggi­o nell’ultimo quarto, ben più fiscale contro la Sam rispetto ai primi tre tempi. Cose che magari sono potute sfuggire ai più, ma non a chi mastica basket da una vita. Tornando al campo, il Mari Group Riva ha perso una gara che potrebbe essere fondamenta­le ai fini della salvezza. Molti si saranno chiesti perché la Polite non sia stata schierata, visto che era nuovamente arruolabil­e dopo i sei mesi di infortunio e che, col suo fisico, avrebbe potuto contribuir­e sotto le plance in modo efficace. Lo abbiamo chiesto a coach Montini: «È stata negli Usa negli ultimi 15 giorni e non si è allenata. Per rispetto verso le compagne, che invece si sono sempre allenate, ho preferito non mandarla in campo. Perché il messaggio che la società vuol far passare è chiaro: ci sono delle regole da rispettare, senza fare favoritism­i. Anche perché chi gioca poco o non gioca, deve capire quanto venga apprezzato il suo impegno negli allenament­i». Una scelta difficile ma che va condivisa: purtroppo, e non da oggi, si sono persi molti giocatori e giocatrici che non hanno avuto la pazienza e la costanza di lottare, fare panchina, crescere e poi giocare. Spesso anche con la complicità dei genitori, i quali vorrebbero i propri figli in campo, senza rispettare i valori della squadra e le scelte di un coach che cerca di non perdere giocatori per strada: non fosse che per una questione di voler far crescere bene chi si mette nelle sue mani e di portare in campo il maggior numero di giocatori possibile.

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