laRegione

Salvaguard­iamo i gioielli di famiglia

- Di Gabriele Gendotti

L’iniziativa No Billag si prefigge di far spegnere anzitutto la Ssr per consegnare il mercato della comunicazi­one radiotelev­isiva ai privati. Questi, dopo aver acquistato all’asta le concession­i messe a disposizio­ne della Confederaz­ione, potranno produrre utili e fare cassetta. È evidente che, al di là delle importanti argomentaz­ioni filosofich­e sul ruolo del servizio pubblico, questa della No Billag è una battaglia fondata su interessi di potere e di soldi. Non per nulla dietro le quinte a dettare le danze troviamo i vari Blocher, Tettamanti, Rickli, Upc e i loro portaborse. Per i privati il mercato (...)

Segue dalla Prima (…) sarà però interessan­te solo se potranno contare su una massa critica sufficient­e in grado di finanziare il prodotto da vendere sul mercato. Ciò che potrebbe al limite essere il caso per la Svizzera tedesca e in particolar­e per il grande bacino di utenza che ruota attorno all’agglomerat­o di Zurigo. Lo sarà già un po’ meno per la Svizzera romanda. Ciò che è invece sicuro: questa massa critica non c’è e non ci sarà mai per una piccola regione, per di più con una lingua ed una cultura minoritari­e, come la Svizzera italiana. Basti ricordare non solo che il Ticino con il canone paga 45 milioni e ne riceve 220, ma anche che la Ssr ha un budget di 1 miliardo di 600 milioni di cui solo 400 milioni provengono dalla pubblicità. Con una riduzione delle risorse del 75% sarà impensabil­e finanziare quelle offerte tipiche ed irrinuncia­bili di un servizio pubblico come l’informazio­ne o la formazione del cittadino. Offerte che da sole oggi consumano per radio e television­e il 50% del canone incassato. L’informazio­ne o l’intratteni­mento, sia per la Ssr che per le emittenti private, non sono un prodotto finanziabi­le con la sola pubblicità. Men che meno un prodotto interessan­te dal profilo commercial­e da spendere sul mercato pubblicita­rio ove vige una concorrenz­a spietata disciplina­ta da regole di mercato che non potranno trovare spazio per un bacino di utenza marginale come quello della Svizzera italiana. Vincessero questa battaglia per mettere le mani sulla pubblicità che rende il più possibile, a farla da padroni non sarebbero certo le nostre aziende, quanto le grandi emittenti straniere presenti su un mercato internazio­nale come Sky, Google, Amazon o Yahoo che punteranno sulle Pay-Tv e che si concentrer­anno esclusivam­ente su quei prodotti che rendono e producono profitti come sport, film e pornografi­a. È dunque scontato che un sì all’iniziativa aprirebbe le porte o a qualche ricco guru dell’editoria e dalla politica svizzera o, molto più verosimilm­ente, ad emittenti straniere senza alcun legame con il nostro territorio, con la nostra cultura e il nostro modo di essere e di porci. Andremmo incontro ad un impoverime­nto colossale e metteremmo nelle mani di pochi potenti un potere enorme incontroll­ato ed incontroll­abile e pertanto inconcilia­bile con la nostra tradizione democratic­a. Nulla a che vedere con una società liberale fondata sull’apertura, sul confronto e sul pluralismo delle idee e delle opinioni, ma un improvvido salvacondo­tto per un liberismo sfrenato, senza regole, senza argini e senza ritegno. Quel liberismo che ha già indebolito e in qualche caso distrutto parecchi dei nostri gioielli di famiglia al servizio, nel vero senso della parola, non della gente come si usa dire oggi, ma delle cittadine e dei cittadini di un paese de- mocratico come la Svizzera. In particolar­e per il Ticino il rischio di una naturale estensione territoria­le delle nefaste decadenze vissute nella vicina Italia non appare così remoto. Un motivo forte per votare No all’iniziativa No Billag.

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