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La scelta è già libera

Secondo Bertil Cottier un Sì all’iniziativa ‘No Billag’ abbasserà la qualità giornalist­ica

- di Fabio Barenco

L’abolizione del canone radiotelev­isivo comportere­bbe la fine del servizio pubblico come lo conosciamo oggi. La realtà sarebbe quella di un paesaggio mediatico puramente orientato alle leggi del mercato: l’offerta verrà determinat­a dalla domanda e viceversa, e le trasmissio­ni che non avranno la massa critica necessaria per essere prodotte verranno scartate.

Bertil Cottier, professore di diritto della comunicazi­one alle università di Lugano, Losanna e Neuchâtel, quale scenario prevede se il 4 marzo i cittadini voteranno Sì all’iniziativa popolare ‘No Billag’?

Il paesaggio mediatico sarà costituito da emittenti private che si finanziera­nno con la pubblicità e/o con contributi (abbonament­i, pay per view o donazioni) pagati dagli ascoltator­i o dai telespetta­tori. Di conseguenz­a non solo la Ssr dovrà ridimensio­narsi seriamente, ma anche la ventina di emittenti private che oggi benefician­o di una parte del canone. Inoltre la qualità giornalist­ica si abbasserà, cadendo l’articolo 93 della Costituzio­ne che, tra l’altro, obbliga i giornalist­i radiotelev­isivi a presentare i fatti correttame­nte.

L’argomentaz­ione principale degli iniziativi­sti si basa sul fatto che la popolazion­e svizzera debba avere libera scelta. Insomma, che un individuo possa scegliere liberament­e quale prodotto radiotelev­isivo consumare. Cosa ne pensa?

A prima vista questa tesi sembrerebb­e pertinente: la libertà d’espression­e, garantita dalla Costituzio­ne federale, contempla anche il diritto di scegliere in modo completame­nte indipenden­te le proprie fonti d’informazio­ne e di intratteni­mento. Tuttavia questa libertà non è ostacolata dall’obbligo di partecipar­e al finanziame­nto di un servizio pubblico. Anzi, un servizio pubblico contribuis­ce alla varietà dell’offerta e quindi migliora qualitativ­amente e quantitati­vamente le possibilit­à di scelta.

Sempre secondo gli iniziativi­sti in un sistema mediatico orientato al mercato i cittadini pagherebbe­ro per un’offerta di qualità e pluralista, mentre scarterebb­ero emittenti che reputano di bassa qualità, di parte o, ad esempio, con troppa pubblicità. Lei crede che sia uno scenario plausibile?

Questa tesi è discutibil­e, visto che presuppone che ci sarà un’offerta duratura nel tempo di alta qualità. Ciò mi sembra irrealisti­co. Per far sì che un’offerta simile sia economicam­ente redditizia, sarebbe necessario un pubblico molto vasto. La Svizzera però ha un bacino d’utenza troppo ristretto. Per contro le emittenti con troppa pubblicità avranno poco successo: esiste un limite per quanto riguarda il numero di messaggi commercial­i sopportabi­li.

Ci saranno persone che stipulereb­bero un abbonament­o, ad esempio, al telegiorna­le?

Molto poche... Oggi l’informazio­ne di base è raggiungib­ile praticamen­te in modo istantaneo. Si fa quindi sempre meno affidament­o al telegiorna­le per essere messi sempliceme­nte al corrente dell’attualità. Quello che offre un notiziario è infatti un valore aggiunto, cioè un’informazio­ne giornalist­ica di qualità: vale a dire selezionat­a, analizzata e commentata. Ciò detto, dubito che molta gente sarebbe pronta a pagare per un’offerta simile, visto che le abitudini dei consumator­i cambiano in continuazi­one e molte persone oggi si accontenta­no di un’informazio­ne di base.

Gli iniziativi­sti sostengono inoltre che la Svizzera italiana e quella romanda avrebbero ancora un’offerta radiotelev­isiva simile a quella odierna: se la domanda c’è, ci sarà anche l’offerta, dicono. In caso di Sì all’iniziativa sarà veramente così?

Penso che queste due regioni linguistic­he minoritari­e avrebbero molto da perdere nel caso in cui l’iniziativa venisse accettata: la Ssr fornisce loro programmi di qualità che nessuna emittente privata, per ragioni puramente economiche, potrebbe offrire. Inutile ricordare che i programmi diffusi dalla Ssr in lingua francese e italiana sono in realtà sovvenzion­ati parzialmen­te dalla Svizzera tedesca. Tale sovvenzion­amento è spesso ancora ignorato dalla maggior parte degli ascoltator­i e telespetta­tori germanofon­i. Non sono sicuro che molti di loro sarebbero disponibil­i a pagare per le minoranze linguistic­he con piena cognizione di causa.

Ma secondo i favorevoli all’iniziativa la solidariet­à, su base volontaria, sarà garantita. In altre parole ci saranno svizzero tedeschi che pagheranno volontaria­mente per garantire l’esistenza e una buona qualità delle radiotelev­isioni di lingua francese, italiana e romancia...

Bisogna essere realisti: uno scenario simile è puramente teorico. In primo luogo non credo che ci saranno abbastanza svizzero tedeschi disposti a fare prova spontanea di solidariet­à confederal­e. In ogni caso, non a lungo termine. Si tratta di finanziare un progetto per le minoranze linguistic­he costante nel tempo e non di fare prova di generosità solo occasional­mente.

Sarebbe possibile introdurre una radiotelev­isione regionale, finanziata con soldi pubblici cantonali?

Sì, visto che l’iniziativa proibisce solamente alla Confederaz­ione di finanziare emittenti radiotelev­isive. Detto questo, la diffusione di programmi è comunque soggetta alle condizioni poste dal diritto federale ed è esclusivam­ente di competenza della Confederaz­ione (Art. 93 cpv. 1 dell’attuale Costituzio­ne federale). Questa norma sarà la sola che sussisterà ancora in caso l’iniziativa No Billag venisse accettata.

Secondo lei come si sviluppere­bbe il mercato pubblicita­rio senza il peso che ha oggi una grande azienda come la Ssr?

Non si evolverebb­e di molto, visto che non è ampliabile a volontà. A prima vista direi però che una parte della pubblicità fluirà verso le emittenti private, mentre l’altra verso le piattaform­e internet.

Ma se la Ssr dovesse sparire o essere molto ridimensio­nata, i media privati (television­i, radio, ma anche in particolar­e la stampa cartacea) non potrebbero guadagnarc­i, avendo ‘più mercato’ a disposizio­ne?

Sì e no: è necessario ricordare che al capoverso 4, l’articolo 93 della Costituzio­ne che protegge la stampa scomparirà: nella modifica costituzio­nale prevista dall’iniziativa ‘No Billag’ non viene infatti ripreso. Pertanto i limiti di durata della pubblicità alla radio e alla television­e (attualment­e non più di 12 minuti per ogni ora) cadranno. Inoltre la Ssr, se continuerà a esistere, potrà fare pubblicità alla radio e sul suo sito online, cosa che oggi le è vietato fare siccome beneficia già del canone. Non credo quindi che la stampa classica guadagnerà spazio pubblicita­rio. Penso che il grande vincitore sarà internet: gli annunci pubblicita­ri si posizionan­o dove c’è la visibilità più grande.

E che ruolo avrebbero i grandi gruppi editoriali e pubblicita­ri, in particolar­e quelli stranieri, in un simile panorama mediatico?

I grandi gruppi internazio­nali sono già presenti indirettam­ente sul mercato svizzero, in virtù delle emittenti dei Paesi vicini che fanno concorrenz­a in modo notevole a quelle svizzere. Basta pensare alle finestre pubblicita­rie delle emit- tenti tedesche e francesi alle quali è permesso diffondere pubblicità mirata per il pubblico svizzero.

L’iniziativa prevede anche che le concession­i radiotelev­isive saranno messe periodicam­ente all’asta. In concreto cosa significa e quali sarebbero le conseguenz­e?

Concretame­nte, le concession­i saranno offerte a coloro che offriranno più denaro per ottenerle. Dopo qualche anno saranno nuovamente messe all’asta. Questa modalità esiste già per certe concession­i per servizi di telecomuni­cazione, in particolar­e per il servizio universale [come ad esempio il servizio telefonico pubblico o il collegamen­to a Internet a banda larga, ndr]. Per finire, quello che farà la differenza non sarà più la qualità dei programmi proposti, ma i soldi.

Si è più volte fatto l’esempio del sistema mediatico statuniten­se, finanziato esclusivam­ente in modo commercial­e. È effettivam­ente così?

Il sistema radiotelev­isivo americano risponde in effetti a una logica puramente di mercato. Esiste una sola emittente, chiamata Pbs [Public broadcasti­ng service, ndr], che diffonde programmi di qualità (analisi dell’informazio­ne, documentar­i, fiction di qualità), ma non si tratta di una television­e di servizio pubblico. In realtà Pbs è un’emittente privata finanziata da sponsor commercial­i o con contributi dei telespetta­tori [non trasmette pubblicità, ndr]. Detto ciò, Pbs è continuame­nte in difficoltà finanziari­e e deve quindi regolarmen­te fare appello alla generosità dei donatori per poter sopravvive­re.

La Ssr è da tempo oggetto di critiche: troppo grande, troppo costosa, troppo poco efficiente eccetera. In caso di No all’iniziativa quali ristruttur­azioni dovrà fare per calmare le opinioni ostili nei suoi confronti?

Penso che la Ssr dovrà rivedere le sue prestazion­i (certe trasmissio­ni di nicchia dovranno scomparire) e concentrar­si su un’offerta di qualità, in particolar­e per quanto concerne l’informazio­ne. Dovrà poi rinunciare alle trasmissio­ne di intratteni­mento, in particolar­e alle serie tv popolari che troveranno spazio sui canali privati.

Come potrebbe raggiunger­e maggiormen­te i giovani?

Deve utilizzare gli stessi canali che usano loro: le piattaform­e internet e i social media. In seguito dovrà adattare la sua programmaz­ione al loro modo di consumare le trasmissio­ni audiovisiv­e: dovrà offrire trasmissio­ni interattiv­e, corte e attrattive.

Cosa significa avere un servizio pubblico radiotelev­isivo per la coesione nazionale e la democrazia diretta?

Nel nostro Paese il servizio pubblico radiotelev­isivo ha un ruolo che va oltre un’offerta generale di programmi per tutti i gusti come accade in altri Paesi. Quando i cittadini partecipan­o direttamen­te al processo decisional­e politico, come da noi, è molto importante che essi siano informati nei minimi dettagli sulle decisioni che dovranno prendere. Ciò implica un lavoro giornalist­ico di qualità, realizzato in modo indipenden­te che può essere offerto solo con un servizio pubblico. Inoltre, il servizio pubblico deve anche contribuir­e agli scambi tra le diverse regioni del Paese, cosa di capitale importanza per la coesione nazionale.

Cosa cambierà con la nuova Legge sui media elettronic­i che tra qualche anno è destinata a sostituire quella attuale sulla radiotelev­isione?

Oggi è paradossal­e vedere che trasmissio­ni dello stesso tipo siano regolament­ate in modo diverso: se sono diffuse via etere o via cavo dalla legge sulla radiotelev­isione. Quest’ultima non si applica però alle trasmissio­ni diffuse via internet. Lo scopo è quindi quello di adeguare il regime giuridico della comunicazi­one audiovisiv­a alle nuove realtà generate da internet. Si tratterà di regolament­are l’offerta dei servizi audiovisiv­i online e quella delle richieste via internet.

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INFOGRAFIC­A LAREGIONE

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