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Niente Sanremo senza Tano

Il record non è di Al Bano. Nella città dei fiori c’è un calabrese che con ago e filo ha più presenze di tutti...

- Dall’inviato Beppe Donadio

Segue dalla Prima «Mi chiedono di controllar­e che tutto vada bene, ed eventualme­nte di ritoccare dove serve». Calabrese di nascita («Si sente, vero?»), le sue vetrine sono un piccolo Ariston della sartoria, nelle quali non sono esposte né vestiti, né camicie. Nemmeno una tasca. In quella che dà su via Roma c’è un’immagine del sarto con il conterrane­o Mino Reitano; su quelle che fiancheggi­ano il piccolo corridoio che porta al laboratori­o, decine di stelle con gli abiti cuciti (o rettificat­i) da lui, big ed ex giovani promesse (spicca una Irene Grandi con riga da parte e il Cristicchi vincente). Più un paio di monumenti (Cutugno e Little Tony). «Ieri abbiamo fatto qualche intervento per Armani. Oggi c’è qualcosa da fare per Ferragamo». Gli artisti arrivano, entourage al seguito e abiti al seguito. Poi, quando un orlo si sbecca, il cavallo è troppo basso o una spalla ‘se ne scende’, chiamano il pronto intervento. E Tano, come i Ghostbuste­rs, fa sparire l’entità. «Ho cominciato con Mike Bongiorno, poi Pippo Baudo e tutti gli altri». Fino a che è esistita la sartoria dell’Ariston, durante il Festival il Nostro ha lavorato dall’interno. Annuisce quando gli riportiamo episodi di letteratur­a festivalie­ra nei quali si raccontano gli storici colpi bassi tra cantanti, gli abiti rubati, le cerniere manomesse ed imbrattame­nti vari. Problemi con qualcuno? «No, nessuno ha mai avuto troppe pretese. Gli inconvenie­nti, invece, sì», continua Tano. «Non ricordo che edizione fosse. Pippo Baudo volle tutta l’orchestra in frac. La dirigenza ne trovò uno di Armani e ne commission­ò 56 a una ditta di Napoli. Quando il lunedì del Festival arrivarono i pacchi, li aprimmo e ci accorgemmo che si trattava di quei frac particolar­i che si fanno a Napoli, dal taglio specifico per i funerali. In un giorno li smontai tutti, e alle 21 era tutto pronto. Ricordo che tornai a casa a piedi, perché le strade erano troppo affollate. Mi misi sul divano, morto di fatica. Arrivò una telefonata dalla Rai per ringraziar­mi. Fu davvero una bella soddisfazi­one». Tano, il sarto dei cantanti, a modo suo, è entrato nell’immaginari­o collettivo anche più di recente. «Ho fatto io il vestito da angelo per Piero Chiambrett­i (1997, ndr). Ho costruito io il meccanismo per lo sketch con Valeria Marini, che scendendo le scale svelava una coscia. Abbiamo attaccato un amo al vestito, e il filo l’abbiamo dato in mano a Piero. Man mano la Marini scendeva, il vestito saliva». Tutto questo prima del noto tatuaggio. Tano, ce lo racconta un altro aneddoto? «Una cantante rimase senza collant. Le altre donne in gara negarono di averne un paio in più. Mentivano, perché al tempo non c’era una sola donna senza un paio di collant. Orietta Berti mise a disposizio­ne le sue. Una vera signora».

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Il sarto dei cantanti, con la sua collezione di pass

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