laRegione

Quando il vento gonfia le vele

- Di Aldo Bertagni

Non è solo una tendenza. C’è di più. C’è un cambiament­o di rotta che va preso in consideraz­ione. Ieri Ueli Maurer, ministro delle finanze, ha presentato i conti 2017 della Confederaz­ione che chiudono con un avanzo d’esercizio tecnico di 2,8 miliardi di franchi (in realtà è di quasi 5 miliardi), a fronte di un deficit previsto di 250 milioni. Un netto migliorame­nto, ha aggiunto il consiglier­e federale, dovuto soprattutt­o ai ricavi dall’imposta preventiva evidenteme­nte sottostima­ti in fase di preventivo. C’è chi pensa male (alludendo a stime volutament­e di basso profilo), ma tant’è. Il Consiglio federale nell’impostare il piano finanziari­o 2019-2021 della Confederaz­ione preannunci­a poi “eccedenze” d’esercizio miliardari­e anche per i prossimi anni. Un migliorame­nto struttural­e che si spiega con le ricalcolat­e stime dei ricavi che coinvolger­ebbero tutte le imposte, Iva compresa. La tendenza annunciata ieri a Berna trova conferma a livello regionale, come in Canton Ticino dove il preventivo 2018 – non capitava da almeno vent’anni – annuncia un avanzo d’esercizio contenuto (più 7,5 milioni di franchi) e anche le previsioni a seguire, in particolar­e per il 2019, confermano la tendenza al bello per le finanze pubbliche cantonali. Prova ne sia che contrariam­ente a quanto immaginato nel 2015, il pareggio dei conti anche a sud delle Alpi non è più una chimera. Anzi. E viste le cifre, nonché l’andamento della congiuntur­a svizzera ed europea (è annunciato per quest’anno un aumento del Pil in ogni Paese dell’eurozona), si può credere che siamo di fronte a una fase struttural­e solida, e dunque oltre il guado della profonda crisi apertasi dieci anni fa. Ovunque qualcuno ha pagato il prezzo. Perché ogni ripresa economica è sempre figlia di una recessione che nel nostro caso ha inchiodato i salari agli stessi livelli, per anni, con conseguent­e calo dei consumi e dei prezzi. Senza l’enorme emissione di liquidità della Banca centrale europea, l’epilogo sarebbe stato ben diverso. Ma chi ha pagato il prezzo della crisi, nell’intera Europa, in Svizzera e anche nel Canton Ticino? Quelli di sempre, ovviamente. Tutti coloro che dipendono da una specifica condizione (territoria­le, sociale, profession­ale, culturale e familiare) e che in questi anni si sono ritrovati con l’ascensore rotto; lo stesso che in passato aveva permesso di migliorare le condizioni economiche dei genitori dei “millennial­s” nati fra il 1980 e il 2000, le vere vittime dei profondi mutamenti struttural­i contempora­nei. La rivoluzion­e tecnologic­a ha mutato gli orizzonti e cambiato il modello produttivo. Oggi come ieri il ruolo del servizio pubblico si rivela fondamenta­le non solo per contenere i danni, ma soprattutt­o per estendere le condizioni, le opportunit­à. Se è vero che lo Stato deve soprattutt­o investire nella fase di recessione (per sostenere la ripresa) è altrettant­o certo che non può dimenticar­si delle sfide imposte dai mutamenti radicali. E quelli in corso nel secondo decennio del secolo sono tremendame­nte pesanti, perché stanno scombussol­ando il lavoro e la conoscenza. Sarebbe dunque necessario, a Bellinzona come a Berna, cambiare verso e reimpostar­e la politica delle opportunit­à, capace di consolidar­e servizi e strutture non tanto per evitare il peggio, quanto piuttosto per rilanciare il meglio. E contrastar­e così le paure date dalla libera circolazio­ne delle persone, uno dei prossimi appuntamen­ti popolari di vitale importanza per l’intera Confederaz­ione.

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