laRegione

Tutta la meraviglia della gravidanza in un selfie

- Di Claudio Lo Russo

Il sito di un grande quotidiano m’informa che una modella-blogger-imprenditr­ice lombarda, impeccabil­mente bionda, fra 8 settimane partorirà a Los Angeles. Un selfie in bianco e nero, impeccabil­mente obliquo, mi aggiorna sullo stato di lievitazio­ne del pancino. E da un angolo della memoria richiama a galla tutto un corredo di pance esibite su copertine patinate e pagine Instagram da donne più o meno note, tutte votate alla condivisio­ne della propria trasformaz­ione. Il tatuatissi­mo compagno trendy-rap della serafica bionda in attesa ci spiega che in California cercano: un passaporto per il piccolo, un po’ di “privacy e tranquilli­tà”. Tra le forme di pervasivo narcisismo da terzo millennio, mi pare particolar­mente fastidiosa la corsa all’esibizione glamour in forma di selfie della propria gravidanza. Quello che non molti anni fa si proponeva come un atto liberatori­o, orgogliosa rivendicaz­ione di una femminilit­à strappata all’equivoco della condizione di malattia e ai dettami estetici da passerella, ed esibita nella sua più alta forma di bellezza, si è in breve declassato a sfruttamen­to ipocrita e utilitaris­tico del proprio corpo. E di chi, inconsapev­olmente, lo abita. Per un pugno di titoli, copertine, sponsor. Alle donne il diritto di non lasciarsi usare, neanche da sé stesse.

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